Si può essere sovversivi chiedendo che le leggi vengano rispettate da chi ci governa (Ennio Flaiano)

lunedì 24 dicembre 2012

Buon Natale

«Ci sono momenti, rapidi e difficili, in cui Maria sente nello stesso tempo che il Cristo è suo figlio, il suo piccolo, e che è Dio. Lo guarda e pensa: “Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. È Dio e mi assomiglia”. Nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive» (Jean Paul Sartre)

martedì 30 ottobre 2012

Si scrive Crocetta, si legge Monti bis

Ha sicuramente ragione Bersani quando afferma che in Sicilia sono accadute "cose da pazzi". Ha vinto il Centrosinistra, con un candidato di sinistra, già sindaco antimafia.

Ma il 52% dei siciliani non è andato a votare.
Ma il Centrosinistra ha il 30% dei voti espressi (meno del 15% dei voti potenziali).

Ma la prima forza politica dell'isola è il M5 Stelle, con il 15% dei voti espressi, contro il 13 del PD.

Ma il rissoso, frammentato e sbandato universo del centrodestra, nel suo complesso, passa il 40% dei voti espressi.

Ma la "sinistra" e l'IDV sono sostanzialmente scomparsi.

La vittoria del Centrosinistra è sicuramente una buona notizia; un'ottima notizia. Per il PD. Per la Sicilia. Per l'Italia tutta.

Ma i risultati elettorali siciliani, se proiettati a livello nazionale, rischiano di avere una sola lettura: prove tecniche di Monti bis.

Già, ma in Sicilia succedono cose da pazzi!
Speriamo.

sabato 27 ottobre 2012

riPENSARE la politica


Il 24 settembre The Tablet, la maggiore rivista cattolica d’Inghilterra, ricordava una questione di fondo della crisi che attanaglia l’occidente. Talmente drammatica da convincere tutti che gli sforzi a difesa dell’Unione Europea e dell’Euro non possono essere ridotti a mero affare negoziale: “If the €uro falls, what price peace?” L’articolo, che riprendeva e rilanciava una riflessione che fu già di Romano Prodi, sposa la preoccupazione sottesa all’espressione “a qualunque costo”, usata da Draghi, Monti e Hollande per marcare una irrinunciabile linea di difesa dell’Euro dalla speculazione, torna in fondo a ribadire il medesimo concetto fatale: dopo l’Euro non ci sono “le” monete, c’è la guerra. Quella guerra che gli europei non hanno mai mancato di farsi prima che l’intuizione dei superstiti vedesse nell’Unione Europea il rimedio al male intrinseco. E l’ultima guerra che noi europei abbiamo combattuto gli uni contro gli altri coinvolgendo mezzo mondo è proprio quella che ha risolto sul piano economico la crisi del ’29, l’unica che per durata e conseguenze può essere paragonata a quella odierna.
Viviamo una fase delicata, come sospesa tra il non più di un modello economico-sociale che ci ha garantito benessere, ma che è necessariamente confinato al cinquantennio passato e il non ancora di un domani che dobbiamo imparare a costruire. In questa terra di mezzo la stessa utopia di un’Europa integrata in una Comunità e non solo nella moneta, sembra oggi chiusa dentro una morsa. Una situazione drammatica che chiede alla politica di gestire l’emergenza (dagli spread al debito, alle strategie anti-cicliche, alla dilagante povertà), ma anche di costruire un pensiero, in larga parte originale, che faccia da cornice a un nuovo modello per lo sviluppo di domani. Ma la politica, finora, si è fatta cogliere in contropiede; largamente impreparata a questo compito; travolta da incapacità, scandali e corruzioni a tutti i livelli. Eclatante è il caso italiano, dove un ultra-ottuagenario di nome Giorgio Napolitano, se non avesse chiamato al Governo un tale Mario Monti, Roma vivrebbe oggi i medesimi drammi di Atene e la guerra sarebbe forse dietro l’angolo.

Serve ripensare globalmente il senso del fare politica, finanza, economia. Serve avere il coraggio di tornare ad ammettere che fare politica per qualcosa di diverso dal “bene comune” significa ritrovarci dove siamo oggi se non rischiare la guerra. Non è affatto vero che siamo in un’epoca post-politica, come si sente interessatamente ripetere. Di più: anche l’antipolitica è politica dal sen fuggita, al punto che è riuscita a spacciare per esistente una entità fantasmatica come la Padania.

Di fronte a tanto squallore risulta difficile sorprendersi dell’abisso esistente tra cittadini e politica. In questo scenario il PD è chiamato a dar prova di essere partito di Governo del Paese. A partire dal rispetto delle regole che si è dato per selezionare i propri candidati. Da elezioni primarie che vedano i contendenti confrontarsi sui programmi prima che sui limiti anagrafici di pensionamento.

Quando le elezioni della prossima primavera affideranno il governo del Paese al PD, piaccia o no, la cosiddetta Agenda Monti non potrà essere abbandonata. Pena la perdita di credibilità a livello internazionale, l’aumento esponenziale del costo del debito pubblico ed il ritorno, per l’Italia, del rischio commissariamento. Sarà necessario mantenere il “rigore” nella gestione dei conti pubblici, migliorare ulteriormente il contrasto agli sprechi e all’evasione fiscale e riequilibrare a favore dei più deboli alcuni provvedimenti adottati da questo governo in un clima di assoluta emergenza. Posto che non sarà un decreto Bersani a far ripartite la crescita nelle forme che abbiamo conosciuto in passato, tra le moltissime necessità, due sono le priorità che non potranno mancare in un governo a trazione PD. Innanzitutto la centralità del lavoro e la riduzione del cuneo fiscale, temi che anche il centrosinistra ha da troppo tempo sacrificato cedendo alle sirene di certo liberismo, all’interno di una nuova politica industriale (cercare questa espressione nel programma dei candidati) che tenga conto del mutato scenario globale. In secondo luogo una lotta senza esclusione di colpi alla speculazione finanziaria internazionale. Obiettivo non alla portata di un solo Paese, ma che deve vedere il nuovo governo a guida PD muoversi a tutto campo sulla scena internazionale per ricercare il consenso necessario ad evitare il ripetersi della crisi attuale che, non dimentichiamolo, nasce nel 2007 dagli Stati Uniti con i cosiddetti Mutui Subprime e vede tutt’ora le banche d’affari internazionali macinare profitti calcolati in miliardi di dollari.

(Scritto per il numero di Novembre 2012 di InPiazza, periodico del PD saronnese)

mercoledì 26 settembre 2012

il PD e le primarie in tempo di caos


da internet

Per chi volesse commentare le milionarie mascherate in salsa suina di molti consiglieri della regione Lazio, abbondantemente finanziate dal bilancio delle presidente Polverini, trovare parole che non sconfinino nel triviale può risultare impresa ardua. Dirsi sconcertati e persino basiti non esprime che una parte alquanto limitata di ciò che si vorrebbe comunicare.

I sondaggi dei diversi istituti demoscopici concordano su di un dato: l’area del non voto era, fino a qualche giorno fa, superiore al 50%. Difficile è dire dove si attesterà dopo quanto sta venendo alla luce. Facile è aspettarsi che il “sono tutti uguali, fanno tutti così” si espanderà in modo ancora più pervasivo di quanto già non avvenga. Preoccupante è, invece, se il degrado della politica è arrivato al punto da far affermare ad un illustre costituzionalista, quale è il prof. Michele Ainis, che è “dalla riforma del Titolo V della nostra Costituzione, varata nel 2001, che iniziano tutti i nostri guai” perché avrebbe sbilanciato troppo i poteri a favore delle Regioni. Ed è preoccupante perché è proprio grazie al meccanismo elettorale regionale che noi elettori abbiamo potuto esprimere la nostra preferenza sulla scheda votando sia per il Presidente della Giunta Regionale che per i Consiglieri regionali; nel Lazio come in Lombardia. Avvicinandosi le elezioni politiche del 2013, dove qualche meccanismo permetterà, giustamente, di scegliere il proprio candidato, pare e me non inutile sottolineare che sarà necessario porre qualche maggior attenzione in questa scelta di quanto non abbiano fatto nel 2010 gli elettori laziali (e pure quelli lombardi). Eviteremo di trovarci, qualche mese dopo, nelle medesime condizioni.

Questa crescente sfiducia nella classe politica si inserisce in un contesto di perdurante crisi economica; la luce in fondo al tunnel, più volte intravista dal Presidente del Consiglio, sembra in realtà allontanarsi più velocemente di quanto non si avvicini la fine del tunnel stesso: della crescita non c’è traccia, le stime relative al PIL vengono continuamente riviste al ribasso e il numero di coloro che restano senza posto di lavoro cresce in continuazione. Ce n’è abbastanza perché un partito di centrosinistra come il PD si intesti l’agenda del prossimo governo. In realtà il nostro partito sembra più assorbito dal cortocircuito determinato da quelle che, nate come Primarie di coalizione, rischiano ora di trasformarsi in un congresso mascherato in mancanza di una coalizione e di candidati che non siano iscritti al PD. Una situazione in qualche modo kafkiana e del tutto incomprensibile ai cittadini elettori; una situazione che si sarebbe potuto evitare se si fosse applicato lo Statuto del partito che prevede primarie solamente di coalizione. In caso contrario il candidato chi il PD indica quale Presidente del Consiglio è il Segretario politico. Una situazione che si è ancora in tempo ad evitare. Dopotutto, si tratta solo di riportare a casa un camper.

Ma altrettanto importante è che il PD, e i suoi eventuali candidati ad una competizione per le primarie di coalizione, non immiseriscano il confronto su temi populisti o sulla “rottamazione”. Discutano piuttosto di Italia e di Europa; di lavoro e disoccupazione; di giovani e precariato; di scuola e di università; di politica industriale, di Fiat, Ilva, Alcoa; di una finanza al servizio delle famiglie e delle imprese, piuttosto che incontrollata e solamente speculativa come quella odierna. In altre parole. Mettano al centro i problemi e gli interessi degli italiani e dicano loro cosa propongono per affrontarli, se non proprio risolverli. E spieghino perché le loro proposte sono differenti (laddove lo siano) e migliori di quelle dell’altra parte politica.

Anche e forse soprattutto dalla serietà con cui ci prepariamo, possiamo sostenere a viso aperto di essere pronti a governare il Paese. Dopo Monti.

(scritto per InPiazza - periodico del PD saronnese)

sabato 1 settembre 2012

Padre Martini, il pastore che guardava lontano

"La vera distinzione -diceva- non va fatta tra credenti e non credenti, ma tra pensanti e non pensanti".

Con queste parole e con il riferimento costante alla Parola di Dio, della quale era maestro universalmente riconosciuto, Carlo Maria Martini ha saputo essere per la Chiesa ambrosiana e per la società italiana ben più che l'Arcivescovo della Diocesi più grande del mondo, quella di Milano.

Intellettuale raffinato e interprete di una Chiesa che cammina a fianco dell'uomo di oggi con il solo riferimento alla Parola di Dio, Martini ha saputo essere l'uomo al quale le Brigate Rosse milanesi si sono disarmate, recapitando in curia scatoloni zeppi di armi e bombe. Ha saputo leggere i segni dei tempi dando vita ad iniziative, a quel tempo profetiche, come la Scuola della Parola e la Cattedra dei non Credenti, il dialogo con i fedeli di religione musulmana e la preparazione della storica visita di Giovanni Paolo II alla Sinagoga di Roma. Ha saputo anche essere il pastore che nei suoi interventi per la festività di sant'Ambrogio parlava alla città richiamando, anche severamente, le istituzioni politiche a rimettersi al servizio dei milanesi iniziando dai poveri e dagli ultimi.

Sempre con il solo riferimento alla Parola di Dio, non rinunciò mai ad affrontare alcuno dei temi che suscitano dibattito nella nostra società e che, a volte, vedono la Chiesa magisteriale attestata sulla linea, necessaria ma forse non sufficiente, dei valori non negoziabili. Senza mai sconfessare alcuno di questi valori ebbe la capacità, anche intellettuale, di porsi e porre domande, lasciar intravedere strade da percorrere, indicare possibili risposte sui dibattiti attorno alle coppie di fatto, alle convivenze omosessuali, ai divorziati risposati, all'inizio e fine della vita umana, all'alimentazione ed idratazione assistita, all'accanimento terapeutico e all'eutanasia, al celibato dei preti come al ruolo delle donne nella Chiesa.

C'era, in Carlo Maria Martini, il desiderio che la Chiesa universale tornasse a riunirsi per pregare e riflettere sulle tematiche che rischiano di dilaniare il mondo cattolico e di marcarne la separazione da quello dei non credenti.
Il prossimo 12 Ottobre saranno trascorsi 50 anni dall'apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, che tanto rinnovamento ha portato nella Chiesa cattolica. Perchè  non augurarsi che la sua scomparsa non favorisca la decisione di indire un nuovo Concilio Ecumenico?

Da cittadino della Diocesi di Milano, da cattolico che ha scelto l'impegno nella politica locale, a padre Carlo Maria un ringraziamento senza confini per tutto quello che mi ha insegnato.

mercoledì 11 luglio 2012

Cattaneo faccia una Ethic Review

Quanto pesa il "fattore Cattaneo" nel biglietto dei pendolari lombardi?
In tempi di Spending Review la domanda potrebbe essere tutt'altro che peregrina; tutt'altro che populista.

E' certo, l'assessore Cattaneo, che l'articolazione del gruppo FNM - Trenord confermi nei fatti quella "eccellenza" di Regione Lombardia che Formigoni va sbandierando fino alla nausea? O, per "avvicinare" la celeste eccellenza non sia invece opportuna una sana cura dimagrante?  L'immagine qui a margine (allegata al Bilancio 2011 di FNM S.p.A.) lascia più di qualche dubbio.

E' certo, l'assessore Cattaneo, che la "governance" del gruppo FNM non sia pletorica oltre ogni ragionevole misura? Se, dal Bilancio 2011 della sola capogruppo, si evince che la remunerazione degli amministratori è costata ai pendolari lombardi la bellezza di 3.000.000 di Euro, al netto di qualsiasi rimborso spese, qualche dubbio rimane.

E se la capogruppo da sola è costata 3.000.000 di Euro in "remunerazione agli amministratori", quanto sarà costato l'intero gruppo?

Cattaneo e Formigoni contrattino pure con il Presidente Monti per ottenere una riduzione dei tagli ai finanziamenti, ma, se vogliono essere minimamente credibili, mettano mano a una sana Ethic Review.

martedì 26 giugno 2012

Democrazia senza partiti?

Può funzionare una democrazia senza partiti? Quasi un italiano su due (48%) sembra convinto di si ed è invece necessario interpellare almeno 25 per trovarne uno che dica di credere nei partiti (4%). Bastano questi due dati, frutto di un recente sondaggio SWG, per dar corpo ad una idea che sembra diffondersi sempre di più tra gli italiani: dei partiti si può fare a meno. Non di questo o quel partito, ma dei partiti in quanto tali. Segno evidente di una frattura tra cittadini e partiti mai così ampia nella storia repubblicana.

Anche se nessuno si dice disposto a rinunciare alla democrazia, si fa strada l’idea che sia possibile “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (Costituzione, Art. 49) senza i partiti. Anzi, i cittadini li vedono come un ostacolo a influire con il loro parere sulle scelte che li riguardano. Locali o nazionali che siano. Il Movimento 5 Stelle non fa mistero del suo essere “non partito”. Si dice orgoglioso di rifiutare l’organizzazione propria di un partito, inteso secondo il modello costituzionale. Sceglie di non dotarsi di uno Statuto, di una gerarchia interna, (ma si affida un leader indiscusso ed indiscutibile) di regole codificate per il suo funzionamento. A tutto ciò dice di preferire un utilizzo spinto degli strumenti propri della “rete” in quanto garanzia di una migliore e più efficiente democrazia. In estrema sintesi un modello dove cliccare su ‘mi piace’ sostituisce il confronto di idee e la mediazione tra posizioni differenti. Un modello che qualcuno chiama di democrazia istantanea e che sembra incontrare oggi il favore dei cittadini; sembra intercettare una domanda di senso preclusa ai partiti tradizionali.

Viviamo in una società fortemente plurale, frazionata per interessi, orientamento culturale e religioso, capacità economica e posizionamento sociale; una società che necessita di luoghi in grado dare aggregazione e rappresentanza alle affinità e capaci di fare sintesi delle diversità. Ancora necessita di luoghi di elaborazione delle risposte ai bisogni dei cittadini e non solamente di elencazione delle domande e denuncia delle storture. Questi luoghi, per anni rappresentati dai partiti politici, sono oggi in gran parte accusati di aver abdicato a queste responsabilità e non più ritenuti interlocutori credibili dai cittadini. In questo il berlusconismio ha una responsabilità enorme, per aver martellato per vent’anni gli italiani con messaggi anti-politica e anti-partiti. Ma altrettanto enorme è la responsabilità delle classi dirigenti, divenute nel tempo autoreferenziali, per aver trasformato i partiti in luoghi di privilegio quando non di malaffare. Ma una democrazia senza partiti scivola presto nel populismo e nella dittatura. Noi italiani non dobbiamo uscire dai confini nazionali per ricordare quali conseguenze comporta fare a meno dei partiti democratici, anche se per volontà di un politico democraticamente eletto.

Se quindi una democrazia senza partiti non esiste, ne consegue la drammatica responsabilità di questi ultimi per aver perso la fiducia dei cittadini, al punto da convincerne, più del 50%, a rifugiarsi nell’area del non voto o a cercare risposte nei “non partiti”.

Il PD è l’unico soggetto politico, presente su tutto il territorio nazionale, sopravvissuto allo tsunami delle recenti elezioni amministrative. L’unico nato espressamente per farsi carico e dare rappresentanza ad una società complessa, che non si governa con l’identificazione di tutti nell’uno, (il leader carismatico) ma con la convivenza possibile dei molti. Ed è l’unico partito, erede di Moro, Berlinguer e Zaccagnini, dove è possibile parlare di politica come servizio alla società e al bene comune senza suscitare derisione.

Per questo la nostra responsabilità è più grande. Per questo non possiamo trattare con sufficienza chi cerca nei nuovi movimenti le risposte che non ha trovato altrove. Per questo dobbiamo essere radicali nel tornare ai valori delle origini e riconquistare la fiducia degli elettori. Condizione indispensabile per essere nuovamente credibili quando proponiamo soluzioni ai bisogni del Paese.
(scritto per il numero di giugno del periodico del PD saronnese "In Piazza")

venerdì 15 giugno 2012

Splendidi ottuagenari


Uno splendido ottuagenario, lo stemma del Comune di Saronno.

Non una ruga che possa suggerire l'opportunità di lifting.

Il 10 Novembre 2012, compirà 80 anni.

Perchè non festeggiarlo come merita?

giovedì 7 giugno 2012

Grillo ringrazia

PDL,UDC,Lega e purtroppo, PD si spartiscono i garanti.

PDL e UDC salvano De Gregorio (dall'arresto).

PDL e Lega salvano la poltrona di Formigoni.

Grillo ringrazia.

giovedì 31 maggio 2012

Quale festa della Repubblica?

Che dalla rete si sia levata, corale e sincera, la richiesta di annullare la consueta parata militare per la Festa della Repubblica, non sorprende. Nè sorprende che alle moltissime richieste leali si siano mischiate, meno numerose, quelle "interessate" a sopprimere un segno di unità del Paese e di presenza delle sue Istituzioni.

Sorprende invece che, a tali richieste, si siano accodati pubblici amministratori; tra essi non pochi di centrosinistra.

Sorprende perchè chiunque abbia anche solo elementari nozioni di pubblica amministrazione sa che una tal macchina organizzativa può essere fermata, alla vigilia dell'evento, solo pagandone quasi per intero il costo. E conseguentemente poco o nulla si sarebbe risparmiato a favore delle popolazioni colpite dal terremoto.

Ma oltre la sorpresa rimane una domanda: come è possibile che dopo 66 anni dalla sua nascita una "Repubblica fondata sul lavoro" che "ripudia la guerra" non trovi miglior rituale per celebrarsi che una parata militare?

Ma questa, ahimè, sembra essere una domanda non particolarmente appassionante per il popolo del centrosinistra!

martedì 22 maggio 2012

The day after: la dura lezione delle amministrative

Poco più di 1000 comuni sugli oltre 8100 del nostro Paese; poco meno di 10 milioni di elettori. Non così poco, però, per qualche riflessione. Anche nella prospettiva delle politiche della primavera 2013, dalle quali ci separa ormai meno di un anno.

E’ stato detto, forse non a torto, che Grillo non può essere considerato una sorpresa: in fondo, da quasi vent’anni gli italiani votano comici e macchiette. La battuta è buona, ma sarebbe pericoloso fermarsi li. I risultati, pur previsti nel trend, sono clamorosi nelle dimensioni.

Il PdL non ha subito la sconfitta pur annunciata: è imploso. In gran parte delle realtà si è sostanzialmente dissolto. La Lega di Bossi ha perso persino Cassano Magnago, a casa del capo. A Monza è passata dal 20 al 7,5%; a Belluno dal 22 al 4,5. A Verona ha vinto Tosi, la Lega di Maroni. Già, la Lega di Bossi e quella di Maroni: due partiti, ormai al lumicino. Anche a Pierfurbi non è andata bene. Alla prima vera occasione, la sua UDC ha fallito l’obiettivo che persegue da sempre: raccogliere il consenso in uscita dal centrodestra.

Per fortuna, decisamente meglio è andata al centrosinistra e al PD in particolare che vince in 92 comuni e riconquista città e paesi da vent’anni amministrati da Lega e PDL. Ma si è trattato di un atterraggio morbido, di vittorie ottenute anche grazie a una riduzione dei consensi molto più contenuta che nel centrodestra.

In questo panorama, due sono i reali vincitori. Il Movimento 5 Stelle (M5S) di Grillo, che porta a casa “solo” 4 sindaci, ma raddoppia i consensi ottenuti alle regionali del 2010 e il “partito” degli astenuti, ormai prossimo al 50%. Grillo e astenuti hanno dato voce al grido di dolore, quando non di sdegno, che attraversa l’Italia alimentato dall’immobilismo, incredibilmente suicida, di un’intera classe politica. Come non ricordare le richieste che da mesi i cittadini rivolgono ai partiti che per anni hanno votato? Nuova legge elettorale, ristrutturazione del finanziamento pubblico mascherato da rimborso elettorale, trasparenza nei bilanci, eliminazione dei privilegi, riduzione del compenso di parlamentari e consiglieri regionali, limitazione del numero dei mandati. Richieste semplici, di buon senso, che la crisi attuale, prima che una sia pur limitata dose di etica, chiederebbe di accogliere senza esitazione. E invece, nulla. Scriviamo quando sono ormai trascorsi 45 giorni dal momento in cui i presidenti di Senato e Camera si sono impegnati a portare in aula una riforma del finanziamento pubblico dei partiti. 45 giorni perduti. Meglio, 45 giorni che hanno (giustamente?) ingrossato le fila dei grillini.

E sbagliano, a mio avviso, coloro che considerano il M5S solo un effetto ottico che raccoglie un voto umorale, qualunquista e antipolitico come le performances circensi del leader lascerebbero credere. Dietro quel successo c’è una crescente domanda di politica, insoddisfatta dai partiti tradizionali. Non lo prova solo la scelta dei parmensi che hanno preferito il giovane Pizzarotti a Bernazzoli, politico di lungo corso. Lo prova il fatto che Grillo non sfonda dove la politica “tradizionale”, di qualunque colore, riesce a mostrare una faccia che i cittadini percepiscono come credibile. E’ accaduto a Verona con Tosi e a Palermo con Orlando: due candidati diversi in tutto, (età, storia, provenienza politica e proposta amministrativa) ma ugualmente considerati non omologabili ai partiti tradizionali dall’elettorato locale. Ancora lo prova Genova dove Grillo ha ottenuto ottimi risultati con un candidato sindaco che non proviene certo dai centri sociali, ma dal mondo dell’impresa e del volontariato. Infine lo provano le molte vittorie locali ottenute da quei candidati PD che hanno saputo intercettare questa domanda facendo premio sulla possibile sfiducia verso il partito nazionale con la loro faccia e le loro storie personali.

La lezione è dura, la diagnosi non lascia scampo. I partiti tutti non hanno che due possibilità: ignorarla, aprendo così le porte del Parlamento a Grillo che nel 2013 prenderà milioni di voti ed eleggerà decine di deputati e senatori. Oppure voltare rapidamente pagina approvando, entro l’estate, una legge elettorale decente, una vera riforma del finanziamento pubblico e una sostanziale riduzione dei costi di parlamentari e consiglieri regionali.

Il PD è l’unico graziato dai cittadini in questa tornata amministrativa.

Un “di più” di fiducia che è al contempo un di più di responsabilità e una sfida. Il PD rimane l’unica organizzazione politica presente su tutto il territorio nazionale e pertanto è stato in grado di ottenere un risultato elettorale sostanzialmente omogeneo in tutte le regioni.

Adesso dobbiamo essere il motore di un ritorno della politica a servizio del bene comune, altrimenti rischiamo la sconfitta fra qualche mese o fra pochi anni. A livello nazionale non meno che a livello locale.

lunedì 7 maggio 2012

Sconfitte estreme, vittorie moderate

Trasferire linearmente sul piano politico il risultato delle amministrative, può essere improprio. Alcuni dati sono però clamorosi.

La nullificazione del PdL è di tali proporzioni da autorizzare l'ipotesi che Berlusconi sia scappato dall'Italia, più che andato a Mosca per festeggiare Putin.

A Verona Tosi vince ed elegge Maroni segretario federale della Lega,  stroncando brutalmente le mire di Bossi di rimettersi in corsa.  Poi si conferma anche sindaco.

L'UDC e il terzo polo tutto, spariscono nel nulla. A conferma che l'egocentrico Casini è emblema di miopia politica se paragonato al ben più responsabile Bayrou, divenuto determinante nella vittoria di Hollande.

La "protesta non votante" rappresenta spesso il primo partito del belpaese.
In scia, Beppe Grillo e il suo movimento raccolgono a piene mani la "protesta votante" contro un sistema partitico largamente impresentabile.  Ripercorrendo, in questo, la strada della Lega nel '92-'96 senza, peraltro, avere un progetto altrettanto chiaramente identificabile. A conferma che l'avversione contro i partiti è più radicale di 15-20 anni fa.

Il PD vince senza stravincere. Si propone come l'unica forza politica in grado di "tenere" a livello nazionale. Ma ottiene, insolitamente, migliori risultati al centro-nord.. In casi isolati, ma di grande rilevanza, conferma di avere una classe dirigente locale ampiamente al di sotto delle aspettative. Ma per sua fortuna, in quegli stessi casi, il PdL riesce a fare anche peggio.

Mario Monti è probabilmente l'italiano che dormirà il sonno più tranquillo, questa notte.

Ma anche il "celeste vacanziero" potrebbe addormentarsi senza ricorrere ai sonniferi.

Infine, che Muccino e Castiglion sappiano fare i sindaci, è ancora tutto da dimostrare.

venerdì 4 maggio 2012

Il voto dimenticato

C'è un voto dimenticato, in questo fine settimana. Che potrebbe interessare i destini dell'Europa in misura non così inferiore di quello francese. Sono le elezioni politiche che si tengono in Grecia.

Il Paese si trova nel mezzo di una profonda recessione con disoccupazione record, la chiusura di decine di piccole e medie imprese al giorno, suicidi e scontri in piazza. Il governo Papademos attualmente in carica è sostenuto dai conservatori della Nea Dimokratia e i socialisti del Pasok.

Tecnicamente in default, la Grecia ha già incassato la prima tranche del prestito europeo da 130 miliardi di euro. Ma i costi sociali sono altissimi. E la maggioranza dei greci sembra aver voltato le spalle ai suoi “salvatori”, i due maggiori partiti, che insieme appoggiano il governo Papademos, ma che sono gli stessi ad aver provocato la crisi, in anni di sprechi e corruzione.

I sondaggi dicono che il Pasok passerebbe dal 42,5% del 2009 al 10%, Nea Dimokratia dal 37 al 17%. In pratica, i due partiti maggiori, passerebbero dal 77 a meno 30%. La conferma di questi dati segnerebbe la fine del bipolarismo che ha governato la Grecia dalla caduta della giunta dei colonnelli, nel 1974, fino ad oggi. Il numero dei partiti che si sono registrati per prendere parte al voto -sono 36 a rappresentare posizioni che vanno dall'estrema sinistra alla destra filonazista- confermerebbe questa tendenza. Ma non è detto che la probabile sconfitta di Pasok e Nea Demokratia si trasformi in una vittoria delle forze politiche “anti-memorandum”, di destra o di sinistra. Se è vero che questo blocco di forze esprime la maggioranza dell’elettorato, è altrettanto vero che tra di loro – e questo riguarda soprattutto le sinistre – manca la volontà per un dialogo su una convergenza programmatica e quindi per una collaborazione post-elettorale. Certo è che un boom delle estreme comuniste e neofasciste creerebbe una situazione esplosiva.

Il rischio è quello che dalle elezioni esca un quadro estremamente frammentato. La Grecia entrerebbe in un lungo periodo d’instabilità politica, caratterizzato da governi di coalizione molto affollati. Ma i partiti che ne faranno parte non sembrano avere né la capacità, né tantomeno la cultura politica, per poter cooperare tra di loro per il bene del Paese. Per l'intera Europa si aprirebbe uno scenario da incubo: da una parte governi troppo deboli per attuare le misure ancora più devastanti sul piano sociale che Papademos ha sottoscritto; dall'altra la mancanza di interlocutori politico-istituzionali affidabili. In altre parole la Grecia tornerebbe ad essere una polveriera.

Sul piano economico il rischio che l'Italia diventi come la Grecia non è del tutto scongiurato. Su quello politico potrebbero esserci più similitudini di quanto non sembri ad una analisi superficiale.

Forse faremmo bene a riservare ai risultati delle elezioni in Grecia una attenzione non troppo dissimile di quelle francesi.

martedì 1 maggio 2012

A quel bar di piazza del Popolo


Agli inizi dei lavori dell’Assemblea Costituente, Giuseppe Dossetti si incontrò con Palmiro Togliatti in un bar nei pressi di Piazza del Popolo per discutere di quale avrebbe dovuto essere la “cifra”, cioè il dato di sintesi dei principi costituzionali.  Dopo un girare intorno al tema che non sembrava approdare ad un esito, fu proprio lui a rompere gli indugi e a proporre a Togliatti il valore del lavoro. La reazione dell’interlocutore fu del tipo: «Ma lei lo dice per compiacere noi». «No, non mi interessa compiacere voi – rispose di Dossetti – sono proprio convinto che il tema del lavoro debba essere centrale nella nuova Costituzione e possa rappresentare un punto di incontro fra posizioni culturali che per altri aspetti non sono facilmente conciliabili».
Si capisce allora come il lavoro sia diventato così importante da meritare due dei dodici articoli dei “Principi Fondamentali”, l’1 e il 4, e da ispirare buona parte del Terzo Titolo della Costituzione relativo ai “rapporti economici”.

Avere un giorno di festa condiviso non risponde solo al bisogno di riposo (tra l’altro funzionale alla stessa produttività del lavoratore), ma alla necessità umana di riconoscere e sottolineare motivi comuni per fare festa insieme: ricorrenze religiose, certo, ma anche festività civili, memorie di eventi che hanno segnato la storia di una società. Se viene a mancare il giorno di festa per tutti, la stessa coesione civile ne è intaccata, le leggi commerciali diventano più forti delle dimensioni conviviali e relazionali, delle famiglie, delle amicizie, delle esigenze spirituali non solo dei credenti, ma di quanti pensano e cercano vie di umanizzazione. E se non ci fosse questo simultaneo prendere le distanze dal lavoro e dedicarsi ai legami, come si potrebbe combattere l’isolamento, l’abbandono, la solitudine disperata delle persone più fragili, a cominciare dagli anziani e dai malati? Pensiamo forse che gli intrattenimenti massmediatici e virtuali possano sostituire le relazioni personali e proteggerle dall’impoverimento umano? Un giorno di tregua comune dal neg-otium valorizza, non svilisce, il valore costituzionale del lavoro.

Da alcuni anni invece, emerge sempre più la tendenza a lavorare anche di domenica, dapprima per non diminuire la produttività degli impianti e, ultimamente, per garantire l’apertura generalizzata di negozi e grandi magazzini. Oggi questa tendenza diventa una abitudine e si estende anche alle festività civili come quella del Primo Maggio.



Pur nella consapevolezza che il lavoro sta diventando una merce sempre più rara, osservo che ci troviamo di fronte ad un gioco pericoloso.


Un gioco che, a quel bar nei pressi di piazza del Popolo, Dossetti e Togliatti avrebbero concordemente condannato.

lunedì 30 aprile 2012

Lega: la paura, il caos mentale


internet

Era il luglio 2008 quando l'allora ministro (sic!) Calderoli, ascoltato dalla Commissione Bicamerale per gli affari regionali affermava: «Credo sia stato un errore abolire l'ICI, che era una delle poche tasse contenenti un principio di federalismo».

Oggi, nel corso di un comizio elettorale a Como, Roberto Maroni, nuovo uomo forte della Lega, ha detto: «Contrasteremo l'IMU in ogni modo, con le iniziative dei Comuni fino all'obiezione fiscale dei cittadini: se non si reagisce, il rischio è che presto ci troveremo di nuovo il Podestà».

Giova ricordare che tanto Calderoli quanto Maroni sono stati ministri del Governo Berlusconi che ha prima abolito l'ICI e poi introdotto l'IMU.

Le elezioni amministrative sono ormai alle porte e la paura "fa novanta". E' quindi comprensibile la spasmodica necessità della Lega di distrarre l'attenzione degli elettori dagli incresciosi sviluppi delle inchieste giudiziarie sui suoi dirigenti.

Forse anche per questo, quegli stessi dirigenti, mostrano inequivocabili segni di confusione mentale.


A ciascuno le sue ... vacanze

http://www.corriere.it/
Il "capo", si sa, può permettersi celestiali vacanze (pagate da chi?) nei resort più esclusivi del pianeta. Ma le collaboratrici, anche le più fidate, devono contentarsi di solcare il centro di Milano agghindate per le spiaggie di Antigua.

Del resto le elezioni amministrative incombono. E se per il PdL si preannuncia una debacle senza precedenti, è lodevole che i Consiglieri Regionali politicamente più avveduti di cui il partito dispone "mostrino" il meglio di se per ... la causa.






domenica 29 aprile 2012

Il contribuente De Bortoli


da Internet

Scrive oggi Ferruccio De Bortoli sulla prima pagina de il Corriere che "Come prima cosa, andrebbe detto che la pressione fiscale, oggi vicina al 45 per cento, non aumenterà più. Anzi, diminuirà appena possibile, specie sul lavoro" e aggiunge che servono impegni concreti, non discorsi cattedratici per la riduzione della spesa pubblica.

Ha ragione De Bortoli in quello che scrive. Ha ragione a metà.

Ha ragione il direttore de il Corriere della Sera quando dice che serve un cambio di passo nell'aggredire la spesa piubblica improduttiva (compresa quella che finanzia gli editori di quotidiani commerciali).

Ha torto, il contribuente De Bortoli, quando considera conditio sine qua non, perchè Monti rilanci l'azione del suo Governo ,la rinuncia alla crescita della pressione fiscale per tutti i contribuenti. Indistintamente.

Certo la crescita della pressione fiscale sarebbe insopportabile per la famiglia media, l'operario e l'impiegato. Il piccolo artigiano.

Ma De Bortoli è troppo intelligente per non sapere che così non è per quei contribuenti che hanno redditi e patrimoni come lui ha. E, ancor di più, per coloro che avendoli non li denunciano al fisco.

Se nei prossimi 3 anni, per chi ha un reddito come il suo, la pressione fiscale crescesse progressivamente al 55, 60 e poi 65%; se chi ha un patrimonio come il suo, nei prossimi tre anni, pagasse una patrimoniale di scopo (investimenti pro crescita) pari al 5% annuo del patrimonio, forse si ridurrebbe sotto la soglia di povertà? No, non intaccherebbe minimamente il suo tenore di vita. Al più, aiuterebbe qualche imprenditore disperato a non togliersi la vita.

Questo (almeno) mi sarei aspettato dal direttore del primo giornale d'Italia. Questo (almeno) avrebbe dato (un po' di) credibilità al suo richiamo.

sabato 21 aprile 2012

Partiti: ultima spiaggia

Dal celodurismo prima maniera al recente Day Pride. In mezzo il respingimento in mare dei disperati che cercavano salvezza in Italia con il suo carico di morti e i soldi del contribuente italiani portati in Tanzania. Del tanto sbandierato federalismo, nessuna traccia. La sintesi potrà apparire impietosa, ma descrive quanto basta vent’anni di Lega. Se poi, come sostiene Bobo, improvvisato castigamatti, l’obiettivo del movimento rimane l’indipendenza della mitica padania, temo che per i militanti (rimasti) si preannuncino anni difficili.

Dalle politiche leghiste mi separa una distanza siderale. Ma non fatico a credere che la stragrande maggioranza della base nulla sapesse e tantomeno immaginasse di Tanzania, lingotti e diamanti. Parimenti sarei sorpreso se i militanti leghisti credessero che le “purghe” maroniane e le conseguenti espulsioni di qualche dirigente e assessore eradicassero la patologia. Piuttosto il patetico scandalo Belsito, non meno che quello Lusi, suona la campana dell’ultimo giro nell’opaco rapporto tra i partiti ed i soldi pubblici. Che dal 1994 al 2012 sono stati 2,3 miliardi di euro. Poco meno di 128 milioni di euro l’anno.

Da tempo mi sono permesso di affermare che la cresci-italia sarebbe stata una fase del Governo Monti dai risultati assai più incerti della salva-Italia. Ora che anche il ministro Passera ammette di non disporre di bacchette magiche, appare chiaro che la ripresa economica rimane lontana e quando arriverà, sarà comunque alquanto contenuta. E il rigorismo oltre misura al quale la Bundesbank sta obbligando l’intera Europa, non aiuta. Persisterà quindi una condizione di grave crisi, di recessione economica e di tensioni sociali crescenti. Una situazione nella quale garantire la coesione sociale sarà un imperativo imprescindibile. Ma per farlo servono partiti credibili, capaci di riconquistare quella fiducia dei cittadini che oggi segna il minimo storico. E che l’affaire del finanziamento pubblico rischia di incrinare irreversibilmente.

Cosa ci dovremmo attendere, allora, da un partito come il PD? Da subito almeno due proposte: una legge per destinare ad un fondo per le emergenze sociali i 170 milioni di euro che i partiti dovrebbero incassare a luglio; una proposta per ridurre del 50% le retribuzioni di deputati, senatori e consiglieri regionali con effetto immediato.

A ruota una revisione strutturale del meccanismo di finanziamento dei partiti, oggi camuffato da rimborso elettorale. Ha ragione Bersani quando lancia l’allarme contro il montare dell’antipolitica che vorrebbe costringere i partiti a finanziarsi unicamente con le buone uscite dei grandi manager, i lasciti degli ereditieri e i contributi dei palazzinari. Non esiste democrazia senza forze politiche organizzate, e i comitati elettorali del modello americano non necessariamente garantiscono maggiore trasparenza. Ma nel momento in cui il Governo chiede ai cittadini le nozze con i fichi secchi, i partiti non devono essere da meno; non possono rimanere sordi e ciechi mentre il discredito aumenta e rischia di coinvolgere le istituzioni democratiche. Dovrebbero, invece brillare per lungimiranza dando l’esempio. Da una integrazione con il meccanismo del 5 per mille al credito d’imposta proposto dal prof. Pellegrino Capaldo, le proposte per un finanziamento legato alla volontà dei cittadini non mancano. Manca, forse, il coraggio di adottarle.

Ma il tempo si è fatto breve. Il combinato disposto tra la peggior crisi economica dal ’29 e la più grave crisi di credibilità dei partiti (e della politica) dal ’92, rischia di innescare una reazione a catena dagli esiti imprevedibili. Chi opera nei partiti, in tutti i partiti, a livello locale, e lo fa da sempre con lo stile del volontariato, ha allora un compito che può risultare determinante: alzare la voce, creare massa critica, pretendere che le segreterie politiche nazionali abbandonino il loro mondo dorato e si ravvedano. E si convincano che la loro sopravvivenza è legata alla fiducia dei cittadini, più che a finanziamenti milionari. 
Ma domani sarà già troppo tardi.
(pubblicato sul periodico In Piazza, in distribuzione gratuita nelle edicole)

giovedì 5 aprile 2012

I Sindaci e le molte insidie dell'IMU

Non hanno torto i Sindaci a lagnarsi del ruolo di esattori conto terzi che il Governo ha assegnato loro con la nuova IMU. Buona parte dei denari che chiederanno ai cittadini andrà direttamente allo Stato. Ma la faccia ce la mettono loro.

Peraltro la situazione dei Comuni è drammatica: le loro casse sono vuote. Saranno quindi costretti ad applicare aliquote alte, soprattutto sugli edifici che non sono abitazioni principali. E queste aliquote si applicheranno su rendite catastali aumentate del 60%. Insomma, sarà un salasso per molti.

Inevitabile attendersi, in molti comuni, azioni di lobby da parte dei soggetti forti, pure loro minacciati dalla crisi, sulle forze politiche che amministrano le nostre città. Non sarà facile, per le amministrazioni di centrosinistra, mantenere dritta la barra dell'attenzione ai più deboli.

Nelle prossime settimane, quando i Consigli comunali approveranno i bilanci del 2012 e le relative aliquote, sarà palese chi ce l'avrà fatta e chi no.



mercoledì 4 aprile 2012

Sul Registro comunale delle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento

Nella seduta di Lunedì 22/4, il Consiglio Comunale di Saronno ha approvato l'istituzione del Registro Comunale delle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento.
Ho votato in dissenso dalla maggioranza cui apartengo.
In seguito ho ricevuto alcune richieste di rendere disponibile il mio intervento in CC.
Lo faccio qui, tramite il blog.

1. Questa sera non siamo chiamati ad esprimerci sul cd Testamento Biologico. Il titolo della mozione vi fa riferimento, ma l’oggetto del deliberato è un altro. Siamo chiamati ad esprimerci sull’istituzione di un Registro delle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento da parte del Comune di Saronno.

2. Questa sera non siamo chiamati ad esprimerci su uno di quei temi che normalmente vengono definiti “eticamente sensibili” o “principi non negoziabili”. Perché se è vero che il testo della mozione richiama in premessa diritti inviolabili, citando articoli della nostra Costituzione, della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e quant’altro, ancora una volta nessuno di questi ha attinenza diretta con il dispositivo della mozione, che riguarda invece l’istituzione di un Registro delle DATda parte del nostro Comune. Anzi, l’art. della nostra Costituzione a mio avviso più affine al tema della mozione è il 117 (non citato nella mozione) il quale dispone che "la tutela della salute" è materia di legislazione concorrente tra Stato e Regioni, ma non dei Comuni.

3. Sono favorevole a che un cittadino, se lo ritiene, possa depositare l’espressione delle sue volontà di “fine vita” da far valere qualora dovesse trovarsi impossibilitato ad esprimerle direttamente. Sono quindi favorevole all’istituzione di un Registro delle Dichiarazioni (forse meglio Disposizioni) Anticipate di Trattamento.

4. La domanda che ho posto a me stesso e mi permetto di porre al Consiglio è allora la seguente: l’approvazione di questa mozione è lo strumento adatto perché ciò possa legittimamente avvenire? La riposta che mi sono dato è negativa. Provo a elencare alcune motivazioni:
  • Oggi non esiste nel nostro Paese una normativa che disciplini l’istituzione di questo “registro”. Non esiste una normativa che disciplini come una Pubblica Amministrazione e soprattutto un Ufficiale di Governo quale è il Sindaco, debbano comportarsi in merito
  • Esiste invece un conflitto interpretativo in ordine a tale comportamento tra l’ANCI da una parte e i ministeri dell’Interno, Del Lavoro e Politiche Sociali e della Salute dall’altra. La posizione dell’ANCI è parzialmente richiamata nel testo della mozione. Quella dei tre ministeri è contenuta in una Direttiva Interministeriale (19/11/10) che recita tra l’altro così: “Il Comune, [secondo quanto previsto dall’art. 14 D.Lgs. 18 agosto 2000, n 267] gestisce, per conto dello Stato e tramite il Sindaco nella sua qualità di Ufficiale di Governo solo i servizi elettorali, di stato civile e di anagrafe. Ulteriori funzioni amministrative possono essere affidate ai Comuni dalla legge che regola anche i relativi rapporti finanziari assicurando le risorse necessarie”. (omissis) Pertanto, non si rinvengono elementi idonei a ritenere legittime le iniziative volte alla introduzione dei registri per le dichiarazioni anticipate di trattamento. In tale quadro si potrebbe anzi ipotizzare, un uso distorto di risorse umane e finanziarie con possibili responsabilità di chi se ne sia fatto promotore”. Siamo quindi di fronte a due posizioni sostanzialmente antitetiche
5. Da ultimo. Sappiamo essere all’esame del Parlamento il cd "Disegno Di Legge Calabrò", testo che personalmente trovo emendabile in più punti, ma questo esula dall’argomento in discussione questa sera. E’ invece pertinente quello che il testo di tale DDL, (come modificato dalla Camera ed ora incardinato al Senato) recita all’art. 9 (Disposizioni finali), dove, tra l’altro, si legge: “E’ istituito il Registro delle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento nell’ambito di un archivio unico informatico nazionale. Il titolare del trattamento dei dati contenuti nel predetto archivio e` il Ministero della Salute”.

Credo che qualsiasi legge verrà approvata dal Parlamento in ordine al cd Testamento Biologico (che personalmente preferirei fosse definita legge sulle Disposizioni del Fine Vita), non potrà che istituire un Registro Unico Nazinale delle DAT e il titolare dei dati che vi confluiranno non potrà che essere un organo centrale della P.A. Del resto mi appare difficile scovare una ratio in base alla quale si dovrebbe delegare la titolarità di una materia così delicata agli 8092 Comuni italiani, buona parte dei quali non avrebbe neppure la struttura per gestirla con le sufficienti garanzie per i cittadini.

Conclusione

Le disposizioni che ciascuno di noi potrebbe voler esprimere in ordine al suo fine vita sono un argomento tremendamente serio. Consentirgli di farlo è questione di civiltà.

Ma se è vero che questa sera non siamo chiamati ad esprimerci sul Testamento Biologico, né a dirimere il conflitto tra ANCI e ministeri, è altrettanto vero che siamo chiamati a dar prova di saper correttamente amministrare. Tema questo, a mio avviso, non meno eticamente sensibile di molti altri.

Se, tramite il nostro voto, dicessimo ai cittadini che approviamo questa mozione con l’obiettivo di istituire un Registro Comunale giuridicamente valido dove potranno validamente depositare le loro Dichiarazioni Anticipate di Trattamento perché così facendo difendiamo i loro diritti civili, renderemmo loro un cattivo servizio. Perché di ciò, questa sera, noi non abbiamo certezza. Di più, e qui invito alla riflessione le colleghe e i colleghi della maggioranza cui appartengo, correremmo il rischio di mutuare metodi non nostri e che abbiamo più volte condannato: quelli di parlare alla pancia dell’elettorato o di una sua parte, non di rendergli un servizio.

E questa, a mio modesto avviso, è una tentazione alla quale, chi ha cultura di governo, non dovrebbe cedere.

sabato 10 marzo 2012

Alfano a Orvieto tra disperazione e lucida follia

Bondi l'ha chiamata scuola di formazione politica, quella che ha affastellato ad Orvieto. E c'erano quindi da aspettarsi contenuti positivi e toni improntati alla speranza.

A giudicare dai due interventi del segretario politico, sembra invece aver prevalso la disperazione.

E' questo lo stato d'animo che si evince dalle parole di Angelino Alfano. Che ancora questa mattina si è prodigato all'inverosimile per nascondere il tramonto di Berlusconi (che gli ha preferito la Dacia di Putin) e le tremende responsabilità del PdL per la situazione al  limite del default che il governo Monti ha ereditato.

Aveva una ricetta per ogni problema Angelino: per la riforma del lavoro, per le banche, per la crescita, per le PMI, per gli ordini professionali, per...  Ma non una ricetta nuova, frutto di una responsabile analisi del catastrofico fallimento di quasi vent'anni di governo. Angelino parlava come se lui e i suoi al governo non ci fossero mai stati; come se lo spread a 600 punti lo avesse lasciato in eredità, che so, il governo Prodi. Erano le solita minsestra, quella cucinata per anni e anni da Berlusconi, Bossi e Tremonti, con i risultati che conosciamo.

Ma soprattutto, Angelino, era dominato dall'angoscia di avere un compito improbo: quello di essere chiamato a riuscitare un cadavere: il PdL.

Provare compassione per il politico (non l'unico a dire il vero) del "lodo" e delle leggi ad personam, mi riesce un po' difficile. Ammetto però che assumersi il compito di risuscitare qualcuno, senza chiamarsi Gesù Cristo, richiede coraggio. O lucida follia.

giovedì 8 marzo 2012

In difesa di Riccardi

Diciamolo senza giri di parole: il ministro Riccardi ha ragione.

I giochini messi in atto ieri dalla PdL sono il peggio che ci si possa aspettare, anche da mestieranti della politica. Come non esserne schifati?

La missione strategica che Silvio aveva affidato al "fedele" Confalonieri era fallita. L'aveva spedito da Monti a pretendere l'assegnazione gratuita delle frequenze digitali e la proroga fino al 2013 (campagna elettorale inclusa) degli attuali impresentabili veritici RAI, ma dopo neanche un'ora era tornato scornato. A questo punto il Silvio ha deciso di boicottare il vertice Monti-maggioranza e ordinato al docile Angelino di farsi intervistare da Mediaset per inscenare il teatrino che conosciamo. Ripeto, come non esserne schifati?

Riccardi ha detto una sacrosanta verità. E che sia tale lo conferma la lista dei nomi che più rumorosamente lo hanno contestato: Cicchitto, Gasparri, Brunetta, Crosetto. Che spettacolo!

Caro Riccardi, avanti così. Questa gente sono zombi di una stagione drammatica per il nostro Paese, ma che fortunatamente abbiamo alle spalle. Una stagione che non tornerà.

venerdì 2 marzo 2012

Mario Monti dopo Mario Monti?

Sorprende il grado di popolarità di cui il Governo Monti continua a godere. Nonostante l’Italia sia ormai in recessione economica. Sorprende in rapporto alla durezza e impopolarità di gran parte delle misure varate. Anche se va detto che alcune di queste non hanno ancora dispiegato i loro effetti sui cittadini, ma lo faranno tra breve. I Comuni, infatti, si apprestano ad approvare bilanci per il 2012 che risentiranno pesantemente della manovra Salva Italia. Ad iniziare dall’applicazione dell’IMU. E ancora ci attende la riforma del mercato del lavoro, che pur appartenendo ai provvedimenti detti Cresci Italia, potrebbe riservare sorprese non del tutto gradite. Lo dico senza pensare all’abolizione dell’art. 18, che personalmente auguro resti e le cui tutele spero sia in futuro possibile estendere anche a chi oggi ne è escluso.

Senza necessariamente scomodare premi Nobel quali Paul Krugman e Joseph Stiglitz o “rivoluzionari” della Teoria Monetaria Moderna, quali l’economista americano James K. Galbraith, che assegna un ruolo benefico al deficit pubblico e all’inflazione, mi permetto sommessamente osservare che il rigorismo oltre misura, imposto dal Cancelliere Merkel all’Europa tutta, rischia di causare disastri sociali certi a fronte di benefici almeno incerti: Grecia docet. Questo per dire che se da una parte il Governo Monti è probabilmente l’unico possibile nell’attuale contingenza e come tale va sostenuto, non per questo tutte le misure adottate sono da ritenersi le migliori in assoluto.

La domanda circa la popolarità di questo Governo quindi resta. Né credo la possa evadere la pedagogica quanto indispensabile sobrietà cui l’esecutivo meritoriamente si ispira e che ha consentito, alla sola Presidenza del Consiglio di conseguire, nei primi cento giorni, risparmi per 43 milioni di Euro, e una riduzione del 92% nel costo dei voli di Stato!

Certo gli ultimi mesi del precedente Governo avevano consegnato l’Italia alla derisione planetaria, suscitato l’allarme rosso in mezzo mondo e condotto il Paese ad un soffio dal default. Fortunatamente la saggezza dei meccanismi istituzionali previsti dalla nostra Costituzione e la lungimiranza del Presidente Napolitano hanno indotto forze politiche che si combattevano aspramente a garantire al nuovo Governo Monti una inedita quanto ampia maggioranza parlamentare. Ma quel passo, ancorché obbligato dal disastro incombente, ha rappresentato una svolta inaspettata nelle sue conseguenze politiche. Se lo stile, la sobrietà e la competenza tecnica dei “nuovi” hanno affascinato gli italiani e le misure adottate hanno riammesso il nostro Paese nel novero della comunità internazionale, il feeling imprevisto creatosi con i cittadini ha spiazzato le stesse forze politiche al cui sostegno il Governo è legato, riducendole in una sorta di imbarazzata afasia. Solo cittadini esasperati da governanti inconcludenti potevano preferire chi promettere lacrime e sangue a chi dispensava illusioni.

Trascorsi 100 giorni, alla permanente condizione di smarrimento, si è aggiunta una preoccupazione bipartisan: se nei prossimi 12 mesi questo Governo dovesse centrare anche solo una parte degli obiettivi di crescita che promette, perché gli elettori dovrebbero fare a meno del “tecnico” Monti dalla primavera del 2013? E posto che l’attuale Primo Ministro potrebbe succedere a se stesso senza neppure dover modificare la legge elettorale, se ciò dovesse accadere, si aprirebbero scenari da brividi: una tecnocrazia “illuminata” che governa per decreto con un Parlamento che docilmente converte in legge. Bene ha fatto quindi Pierluigi Bersani a lanciare la campagna Destinazione Italia «con l’obiettivo di ascoltare i problemi concreti delle varie realtà territoriali e metterci la faccia». Solo tornando in mezzo alla gente la classe politica può allontanare lo spettro della sua inutilità. Il PD sembra averlo capito; ma il tempo si è fatto breve. Le elezioni del 2013 sono dietro l’angolo.

(Pubblicato su In Piazza, marzo 2012)

venerdì 3 febbraio 2012

La novità politica? Il governo tecnico

da internet
Ci sono molte sfide dentro il decreto Cresci-Italia, secondo significativo pacchetto di interventi del governo Monti. Il primo, a dire il vero, del quale il Presidente del Consiglio si assume paternità. Il precedente, Salva-Italia, altro non era che la concretizzazione di impegni da altri sottoscritti. Sollecitati perfino, ma al solito non mantenuti.

Sicuramente positivi gli interventi che puntano a rimettere al centro l’interesse generale del Paese rispetto a quello di singole categorie che troppo a lungo hanno lucrato ingiustificate rendite di posizione. Positivi anche gli interventi rivolti ai cosiddetti poteri forti. Anche se, una qualche maggiore dose di coraggio verso banche, assicurazioni e petrolieri, tanto per citare qualche esempio, pare a chi scrive che male non avrebbe fatto. Sarà ora indispensabile che il governo non si lasci influenzare dalle proteste, che già hanno mostrato il lato meno civile di alcune categorie. O dalle lobby che, anche in Parlamento, tenteranno ogni sorta di ricatto per modificare a loro vantaggio il pacchetto prima di votarne l’approvazione.

Giova qui ricordare che già Bersani e Prodi, prima che gli italiani consentissero a Berlusconi di portare l’Italia ad un soffio dal baratro, introdussero misure non meno 'rivoluzionarie'. Non si deve certo agli “scudi” e condoni della trimurti Berlusconi-Bossi-Tremonti se in questi anni abbiamo potuto fare te¬lefonate a un costo via via decrescente, se abbiamo fruito di un qualche ribasso sui prezzi dei farmaci, se abbiamo goduto della portabilità del mutuo casa e della cancellazione della penale per l’estinzione anticipata, che hanno portato immediati benefici alle famiglie e costretto le banche a rendere più competitivi i loro prodotti.

Bene quindi ha fatto il segretario nazionale del PD a schierare il partito a sostegno del Governo “senza se, senza ma e senza rinunciare a sostenere le nostre proposte”. Ed è su quest’ultimo aspetto che vale qualche osservazione.

Le condizioni emergenziali che hanno partorito il governo Monti autorizzano a tributargli molti più riconoscimenti che critiche. Non per nulla solo un partito in disfacimento come la Lega, oltre a chi ha legato indissolubilmente il suo onore di giornalista al “metodo Boffo”, gli fanno opposizione becera e sistematica. Ma le poche settimane trascorse dall’insediamento del governo “tecnico” sono sufficienti per affermare che proprio li sta la novità politica. Si potrebbe dire che nulla mai, nella storia repubblicana, ha inciso tanto profondamente nel rapporto cittadini - governanti. Lo dicono i sondaggi, che danno la sua popolarità a livelli impensabili in relazione alle misure durissime sino ad oggi adottate. Lo conferma l’allarme rosso scattato in casa PdL: a Berlusconi, inchiodato all’angolo e costretto dal suo fallimento a sostenere Monti in Parlamento, non sfugge che ogni obiettivo raggiunto rende sempre più impietoso il confronto con le macerie lasciate dal suo raccogliticcio esecutivo. Ma se i provvedimenti sino ad ora assunti dal governo appaiono prevalentemente positivi, un partito come il PD non può accontentarsi: deve guardare oltre. Abolire i privilegi è primario atto di giustizia. Ma dimenticare che deregolamentazioni, privatizzazioni e concorrenza selvaggia alla Regan o alla Thatcher sono all’origine dei nostri guai, sarebbe imperdonabile miopia politica per il centrosinistra. Ricorda l’accademico ed economista Robert Reich che “Una fede sconsiderata nella libera concorrenza può distruggere i diritti dei cittadini, soprattutto i più deboli e quelli il cui sostentamento dipende solo dal proprio lavoro, se non adeguatamente tutelato. Quando l’appetito del consumatore vince sul diritto del cittadino, ciò avviene a tutto danno dell’uguaglianza che sta alla base della democrazia”

Priorità assoluta, quindi, è creare occupazione. Merce molto rara nel nostro modello economico quando la crescita è destinata ad essere (nelle migliori ipotesi) alquanto contenuta. E obiettivo arduo da raggiungere con i soli interventi fiscali o di deregulation. Compito del PD è lavorare, assieme ai democratici europei, ad un piano, rivoluzionario quanto le “lenzuolate” di Bersani e Prodi, che metta al centro la massima occupazione. E che difficilmente potrà trarre vantaggi dall’abolizione dell’articolo 18.

(pubblicato su In Piazza - gennaio 2012)

sabato 28 gennaio 2012

La Lega Nord? Non c'è più

Se PdL, PD e UDC facessero un sondaggio tra elettori e simpatizzanti per sapere quanti di loro sono i soddisfatti dell'operato del governo Monti, scommetto che non arriverebbero mai all' 80%.
I leghisti, invece si. Anzi, di più, a giudicare dall'impietoso sondaggio che Radio padania ha maldestramente lanciato ieri e poi rapidamente occultato quando i risultati erano quelli che vedete qui a fianco.

Come dire che sono bastate poche settimane di governo Monti per dissolvere la Lega.

E questa è una sconfitta non tanto per Bossi, la cui leadership è archiviata da tempo. E' un allarme rosso per il "giovane" Bobo che,a suo tempo, rischia di ereditare un guscio vuoto, ancorché con tanti soldi in Tanzania.

venerdì 27 gennaio 2012