Un Disegno di Legge Costituzionale. Diciotto articoli. Il Titolo IV della Costituzione Repubblicana disarticolato. Un nuova sezione, la II-bis, introdotta a bella posta per disciplinare la responsabilità civile dei magistrati. Un "doppio" Csm. La separazione tra giudici e PM. L'appellabilità delle sentenze di assoluzione «soltanto nei casi previsti dalla legge». In più, nuove norme che intervengo pure sul trasferimento dei magistrati, sui rapporti con la polizia giudiziaria e sulle regole disciplinari. Questo, in estrema sintesi il contenuto del testo Berlusconi – Alfano. Detto di “riforma” della giustizia.
Nel nostro Paese l’amministrazione della giustizia è malata. Due, a mio avviso, i sintomi più evidenti. La straordinaria lentezza dei processi, soprattutto civili, che ha accumulato una massa di 5 milioni di processi arretrati. E che la rende in qualche modo una giustizia di classe. Perché solo chi ha molti mezzi può permettersi di sostenerne le spese e di attendere quasi all’infinito (salvo prescrizione) la definizione di un torto o il riconoscimento di una ragione. Poi il sovraffollamento delle carceri. Alla fine del 2010 le carceri italiane ospitavano 69mila persone, a fronte di una capienza regolamentare di 44mila. Forse anche per questo, nel medesimo anno, i suicidi sono stati 63. Quasi a dire che, in Italia, la pena di morte esiste ancora.
Di fronte a un così sconfortante scenario non è improprio domandarsi: quali di questi problemi risolve la riforma epocale evocata da Belrusconi? La risposta è tanto semplice quanto disarmante: nessuno. Non li risolve perché non li affronta: semplicemente li ignora. Interviene invece sui delicati meccanismi che, dal 1948, garantiscono l’indipendenza della Magistratura dal potere politico. Meccanismi che sono sopravvissuti al flagello delle Brigate Rosse, sconfitte senza alterarli. Ma che, forse, non sopravvivranno alla smania di Berlusconi di non essere giudicato da nessuno.