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Ci sono molte sfide dentro il decreto Cresci-Italia, secondo significativo pacchetto di interventi del governo Monti. Il primo, a dire il vero, del quale il Presidente del Consiglio si assume paternità. Il precedente, Salva-Italia, altro non era che la concretizzazione di impegni da altri sottoscritti. Sollecitati perfino, ma al solito non mantenuti.
Sicuramente positivi gli interventi che puntano a rimettere al centro l’interesse generale del Paese rispetto a quello di singole categorie che troppo a lungo hanno lucrato ingiustificate rendite di posizione. Positivi anche gli interventi rivolti ai cosiddetti poteri forti. Anche se, una qualche maggiore dose di coraggio verso banche, assicurazioni e petrolieri, tanto per citare qualche esempio, pare a chi scrive che male non avrebbe fatto. Sarà ora indispensabile che il governo non si lasci influenzare dalle proteste, che già hanno mostrato il lato meno civile di alcune categorie. O dalle lobby che, anche in Parlamento, tenteranno ogni sorta di ricatto per modificare a loro vantaggio il pacchetto prima di votarne l’approvazione.
Giova qui ricordare che già Bersani e Prodi, prima che gli italiani consentissero a Berlusconi di portare l’Italia ad un soffio dal baratro, introdussero misure non meno 'rivoluzionarie'. Non si deve certo agli “scudi” e condoni della trimurti Berlusconi-Bossi-Tremonti se in questi anni abbiamo potuto fare te¬lefonate a un costo via via decrescente, se abbiamo fruito di un qualche ribasso sui prezzi dei farmaci, se abbiamo goduto della portabilità del mutuo casa e della cancellazione della penale per l’estinzione anticipata, che hanno portato immediati benefici alle famiglie e costretto le banche a rendere più competitivi i loro prodotti.
Bene quindi ha fatto il segretario nazionale del PD a schierare il partito a sostegno del Governo “senza se, senza ma e senza rinunciare a sostenere le nostre proposte”. Ed è su quest’ultimo aspetto che vale qualche osservazione.
Le condizioni emergenziali che hanno partorito il governo Monti autorizzano a tributargli molti più riconoscimenti che critiche. Non per nulla solo un partito in disfacimento come la Lega, oltre a chi ha legato indissolubilmente il suo onore di giornalista al “metodo Boffo”, gli fanno opposizione becera e sistematica. Ma le poche settimane trascorse dall’insediamento del governo “tecnico” sono sufficienti per affermare che proprio li sta la novità politica. Si potrebbe dire che nulla mai, nella storia repubblicana, ha inciso tanto profondamente nel rapporto cittadini - governanti. Lo dicono i sondaggi, che danno la sua popolarità a livelli impensabili in relazione alle misure durissime sino ad oggi adottate. Lo conferma l’allarme rosso scattato in casa PdL: a Berlusconi, inchiodato all’angolo e costretto dal suo fallimento a sostenere Monti in Parlamento, non sfugge che ogni obiettivo raggiunto rende sempre più impietoso il confronto con le macerie lasciate dal suo raccogliticcio esecutivo. Ma se i provvedimenti sino ad ora assunti dal governo appaiono prevalentemente positivi, un partito come il PD non può accontentarsi: deve guardare oltre. Abolire i privilegi è primario atto di giustizia. Ma dimenticare che deregolamentazioni, privatizzazioni e concorrenza selvaggia alla Regan o alla Thatcher sono all’origine dei nostri guai, sarebbe imperdonabile miopia politica per il centrosinistra. Ricorda l’accademico ed economista Robert Reich che “Una fede sconsiderata nella libera concorrenza può distruggere i diritti dei cittadini, soprattutto i più deboli e quelli il cui sostentamento dipende solo dal proprio lavoro, se non adeguatamente tutelato. Quando l’appetito del consumatore vince sul diritto del cittadino, ciò avviene a tutto danno dell’uguaglianza che sta alla base della democrazia”
Priorità assoluta, quindi, è creare occupazione. Merce molto rara nel nostro modello economico quando la crescita è destinata ad essere (nelle migliori ipotesi) alquanto contenuta. E obiettivo arduo da raggiungere con i soli interventi fiscali o di deregulation. Compito del PD è lavorare, assieme ai democratici europei, ad un piano, rivoluzionario quanto le “lenzuolate” di Bersani e Prodi, che metta al centro la massima occupazione. E che difficilmente potrà trarre vantaggi dall’abolizione dell’articolo 18.
(pubblicato su In Piazza - gennaio 2012)