Si può essere sovversivi chiedendo che le leggi vengano rispettate da chi ci governa (Ennio Flaiano)

lunedì 22 aprile 2013

Lo stiamo perdendo! Ma chi?

Davvero difficile elencare tutte le categorie di “traditori” che usurpano un posto tra i parlamentari PD. Forse quelli occulti sono moralmente più riprovevoli di quelli palesi, ma alla prova del voto contano uguale. Non così difficile potrebbe essere identificare i capibanda che albergano dentro e fuori le fila dei parlamentari PD. Sono capibanda sanguinari, che non si fermano davanti a nulla. Espertissimi nell’arte dell’inciucio, a volte, a dispetto della giovane età. Tanto ai primi quanto ai secondi non difetta un ego smisurato, inversamente proporzionale alla capacità di una analisi e proposta politica che non sia a proprio esclusivo tornaconto. Alcuni di loro tacciono o se ne stanno lontani dopo i misfatti dei giorni scorsi, sperando di non dare nell'occhio. Altri guadagnano le luci della ribalta con frasi paradigmatiche di chi non ha la più pallida idea di cosa significhi stare denmtro un partito: «Mi dispiace per Napolitano, per il Pd e per tutti noi, ma ho votato bianca», «Incomprensibile che il Pd non appoggi Stefano Rodotà o non proponga Emma Bonino».

Il (già) segretario Pierluigi Bersani non ne ha imbroccata una, almeno dalle elezioni in poi. Forse non merita l’apologia dello sconfitto, ma sarebbe ingeneroso attribuire solo a lui la responsabilità del disastro accaduto. Certo bisogna riconoscere che sarebbe stato difficile fare di peggio che candidare Franco Marini pur di diventare Presidente del Consiglio, ma anche fare di meglio circondato com’era da oltre 100 criminali politici che non hanno avuto la minima remora a macchiarsi di parricidio, nel segreto dell'urna parlamentare, negando il “nostro” voto a Romano Prodi.

Le primarie sono (state) un importante momento di coinvolgimento dei cittadini. Ma dobbiamo riconoscere che non hanno prodotto il cambiamento che ci si aspettava. Al ringiovanimento anagrafico non ha corrisposto quello politico. Anche noi elettori delle primarie, quando scegliamo, lo dobbiamo fare con molta, molta maggiore avvedutezza.

Il PD non è (ancora) al rigor mortis, ma è sicuramente in arresto cardiaco. Serve un defibrillatore prima che l’encefalogramma politico divenga irreversibilmente piatto. Ma un solo congresso straordinario mi sembrerebbe uno strumento troppo ordinario per affrontare una situazione tanto drammatica. Il problema, se così mi posso esprimere, più che di numeri è di ontologia politica. Prima di contarsi serve dirsi francamente chi vogliamo essere. Perché il “chi è” del PD, in questo momento, non lo sa nessuno. Deputati e senatori che non sanno ricompattarsi nemmeno intorno al nome del padre nobile, non rappresentano più “quel” partito. Ma anche quella base che ha alzato (giustamente) la sua voce più contro l’operazione Marini che il siluramento di Prodi non è molto diversa dai suoi rappresentanti. Il PD nato dall'esperienza dell'Ulivo è una forza politica plurale, riformista solidale, indispensabile alla vita democratica del Paese. Il PD che abbiamo visto in questi giorni è talmente sfigurato da essere irriconoscibile. E temo non serva a nessuno.

Un’atmosfera surriscaldata non è mai un buon viatico per una riflessione politica sui fondamentali di un partito o di un impegno. Certo sono anch’io sconcertato da un possibile governo con Berlusconi. Ma mi permetto di affermare che se il PD capissse chi è oggi e dove vuole andare potrebbe sopravvivere anche ad un simile stato di necessità contro natura. E perfino rafforzarsi.

In caso contrario, lo perderemo. Con o senza governissimo.

martedì 16 aprile 2013

Roberto Ruffilli, le istituzioni come «bene comune», di Fulvio De Giorgi

Fulvio De Giorgi, su Avvenire, ricorda Roberto Ruffilli a 25 anni dalla sua morte per mano delle BR
Venticinque anni fa veniva assassinato dalle Brigate Rosse il professor Roberto Ruffilli, intellettuale cattolico, studioso di storia, da sempre impegnato nel dibattito civile e, in quegli anni, parlamentare della Dc ed esponente politico di primo piano nei lavori per le (fin da allora auspicate) riforme istituzionali. Non si possono dimenticare i tratti della sua figura mite e dolcissima di cristiano, le  sue doti di dialogo, di confronto aperto, infine di amicizia vera: tratti che rimangono indimenticabili per chi lo conobbe. Ma è soprattutto importante oggi - in una fase storica di disprezzo della politica - ricordare Roberto Ruffilli senatore della Repubblica, pensatore politico e uomo di Stato. Egli si inseriva in quella visione della democrazia che si può definire lapiriana e, soprattutto, morotea. In un suo grande discorso all’Assemblea Costituente, il 13 marzo 1947, Aldo Moro aveva parlato di tr pilastri costituzionali: «Questi tre pilastri, sui quali mi pare che posi il nuovo Stato italiano sono: la democrazia, in senso politico, in senso sociale e in senso che potremmo chiamare largamente umano». Se il tema della democrazia politica avvicinava i democratici cristiani ai democratici laici, se il tema della democrazia sociale li avvicinava alla democrazia 'progressiva' delle sinistre marxiste, la democrazia in senso «largamente umano» caratterizzava, in modo peculiare, i cattolici democratici: era la rilettura dell’illuminismo cristiano da Beccaria a Manzoni, attraverso la forza della nonviolenza e della mitezza evangelica (si pensi, solo per fare un esempio, al successivo impegno di La Pira per la pace). Fu quell’umanesimo democratico che, durante il sequestro da parte delle Br, Moro cercò di far intendere nelle sue lettere (e che non fu invece compreso dagli esponenti politici del cosiddetto 'fronte della fermezza') e che emerse pure nell’appello di Paolo VI «agli uomini» delle Br. A Moro e a quell’ideale democratico (spiritualmente montiniano) Ruffilli rimase sempre fedele, testimoniandolo infine con il sacrificio della vita: una morte, cioè, da martire civile, mite e nonviolento, disarmato, inerme, fiducioso nell’uomo. La lezione civile, attualissima, che Ruffilli diede negli anni in cui si impegnò per le riforme istituzionali risiede, forse, in due aspetti congiunti: entrambi fondati su quella visione morotea. Il primo aspetto sta nel considerare le Istituzioni come la massima forma storicamente possibile di 'bene comune': con una tensione etica, cioè, analoga a quella che fu pure di Vittorio Bachelet. Nell’alternativa tra Stato etico (tipico del totalitarismo gentiliano, anche nella sua variante gramsciana del moderno Principe) e Stato guardiano notturno (tipico dell’individualismo liberale, che nel suo empirismo non pone limiti ai 'poteri forti') Ruffilli guardava a un personalismo che, facendo della coscienza personale del cittadino l’istanza superiore, costruisse la casa comune delle Istituzioni con il materiale etico dell’integrazione e della partecipazione democratica: includendo - non in modo amorfo, ma nella ricchezza dei corpi intermedi - tutti i livelli della società, a partire da quello popolare di massa. In questo modo la sussidiarietà era valorizzata nel modo giusto: cioè saldamente inserita nella solidarietà, integrata dunque nei doveri e nelle responsabilità sociali. Un’enfasi monocorde sulla sola sussidiarietà avrebbe infatti chiaramente condotto - sul piano, potremmo dire, della 'costituzione materiale' – ad esiti negativi, aperti a derive clientelari e corruttive e porosi verso il malaffare. L’altro aspetto, anche questo di derivazione morotea (che Ruffilli condivideva con altri intellettuali come Ezio Tarantelli), stava nella convinzione che democrazia politica e democrazia sociale andassero tenute insieme: che infine la giustificazione ultima – in termini di legittimazione etica e storica – delle riforme istituzionali sta nell’offrire uno strumento sociale e democratico più adeguato per conseguire la giustizia sociale, diminuendo le disuguaglianze presenti nella società e redistribuendo in modo più equo i redditi, sostenendo i più deboli, in un contesto di uguaglianza in dignità della persona umana (che cioè, per esempio, reputa 'indegno' che un ricco possa avere cure sanitarie diverse e migliori del povero). Per questa sua grande attualità di riflessione e di proposta, Roberto Ruffilli rimane ancora, per tutti, una figura esemplare di cristiano, di intellettuale e di politico a servizio della democrazia repubblicana.

mercoledì 13 marzo 2013

Il Card. Bergoglio è Francesco I

Da cattolico so che avrei ringraziato lo Spirito santo qualunque nuovo Papa avesse donato alla Chiesa universale.

Ma questa sera, a mio modesto avviso, è accaduto un fatto rivoluzionario per la Chiesa e per il mondo tutto: lo Spirito santo, se così mi posso esprimere, ha superato se stesso.

Il Card. Bergoglio è uomo fuori dall'ordinario. E' un vescovo che utilizzava l'autobus e la metropolitana per recarsi in visita pastorale nelle parrocchie. Un vescovo che andava in mezzo alla gente, nelle osterie, nelle fabbriche a dialogare con tutti. Un uomo semplice, ma profondo e di grande preghiera. Un vescovo che non viveva in un vero e proprio episcopio, ma in un modesto appartamento di poco più di due stanze.

Bergoglio, padre Gesuita, è stato anche grande amico di Carlo Maria Martini e, come lui, è conosciuto per la sua attenzione ai problemi sociali, ai diritti dei poveri e dei deboli, per l'attenzione al dialogo tra la Chiesa e il mondo di oggi.

Non ultimo il nome che ha scelto per se stesso. Può sembrare poetico, ma associato alla figura del card. Bergoglio fa tremare i polsi e, personalmente, mi riempie di gioia per quello che, credo, significhi. E che, sono certo, farà per credenti e non credenti.

Pensando per un attimo al mio ruolo di Presidente del Consiglio comunale di Saronno, sono certo di interpretare il sentimento di tutti i miei colleghi consiglieri, senza con questo venire meno al dovere di laicità che mi compete, augurando a sua Santità Francesco I un lungo e fruttuoso cammino a servizio della pace, della comprensione e della solidarietà tra tutti gli uomini.

domenica 10 marzo 2013

PD: CIO’ CHE CONTA ADESSO E' CAMBIARE DAVVERO

Il Partito Democratico non ha perso le recenti elezioni politiche nazionali. Ma, diciamolo con franchezza, non le ha neppure vinte. Mentre era convito di poterci riuscire.

In Lombardia, invece, abbiamo perso un'occasione storica. Tra Ambrosoli e Maroni, i lombardi, hanno scelto quest'ultimo. E la certezza che tra non molto se ne pentiranno amaramente, non lenisce il disappunto della sconfitta.

Poteva il PD vincere in Italia e in Lombardia?
Sarebbe stato sufficiente che a vincere le primarie fosse stato Matteo Renzi?
Basterebbe ora rifare le primarie, che probabilmente vincerebbe Renzi, per aggiudicarsi le prossime elezioni mantenendo una chiara matrice solidarista e riformista?
Oppure il problema messo in luce dalle recenti consultazioni elettorali è ben più complesso?

Il PD saronnese ha ottenuto il miglior risultato elettorale della provincia di Varese alle elezioni regionali. Pur in assenza di un candidato locale che non è stato un grado di ottenere. Come possiamo far si che le potenzialità di Saronno e del saronnese possano essere meglio utilizzate dall'intero PD provinciale e regionale?  

Su questi e altri temi vogliamo sentire il parere chi ha votato PD, di chi avrebbe voluto ma non se l'è sentita, di chi ha partecipato alle primarie, di chi si riconosce nell'ampio campo del centrosinistra e vorrebbe un PD diverso.  

Aspettiamo tutti a Saronno, giovedì 14 marzo, ore 21.00 presso la Villa Gianetti, via Roma 20

venerdì 1 marzo 2013

Le elezioni e il fattore 25%


da Internet

Poco meno del 25% degli italiani non ha votato. Il 25% lo ha fatto al grido “arrendetevi, siete circondati”. Un ulteriore 25% ha creduto (per l’ennesima volta) in un anziano “signore” che pochi mesi prima aveva condotto il Paese ad un passo dal baratro, nel più totale isolamento internazionale; che ha promesso l’eliminazione dell’IMU e la restituzione di quella già versata; che ha millantato misure volte all’elusione e all’evasione fiscale; che ha promesso un condono fiscale tombale accompagnato da quello edilizio.

In questo quadro è realistico ritenere che la mancata vittoria (e la scampata sconfitta) del PD sia attribuibile solamente agli errori commessi in campagna elettorale? O alla candidatura di Bersani piuttosto che quella di Renzi.

Purtroppo non lo è. Chè se lo fosse, la soluzione sarebbe già bella e pronta.

Se in centrosinistra vorrà prima o poi (forse più poi che prima) tornare ad essere forza di governo, sarà invece necessaria una riflessione “essenziale”. Una riflessione che ripensi da capo il significato di dx e sx (Grilo è di dx o di sx?) per capire come fare oggi una proposta di centrosinistra in grado di essere compresa da un numero di italiani sufficienti a governare. In una situazione economica che non cresce e probabilmente non crescerà, perchè figlia di un modello forse giunto al suo epilogo. In una situazione sociale dove al concetto di “bene comune” sempre più difficilmente è attribuibile un “significato comune”. In una situazione internazonale dove la finanza sempre più condiziona l’economia e la politica. Senza che nessuna autorità sembri avere il potere di impedirglielo.

mercoledì 20 febbraio 2013

Elezioni Lombardia-3



Il 24 e 25 febbraio voteremo per eleggere il nuovo Parlamento della Repubblica. E il Governo della Lombardia.

Questo secondo appuntamento elettorale si sarebbe dovuto tenere nel 2015. Ma nella nostra Regione c'è stata una deriva etica e morale, perché qualcuno ha pensato che la politica potesse essere asservita ai propri interessi piuttosto che a quello dei lombardi. Si è arrivati a queste elezioni anticipate perché la criminalità organizzata si è seduta al tavolo della giunta regionale. Ma la stessa maggioranza che poche settimane fa si è sciolta scambiandosi accuse velenose, oggi corre nuovamente insieme. E’ una Lombardia sfigurata dagli scandali quella che PdL e Lega consegnano a noi elettori. E noi, in coscienza, non possiamo permettere che chi ha consentito un tale scempio ritorni al governo della regione.

Dopo diciotto anni, c’è finalmente la possibilità concreta di cambiare, di destrutturare il blocco di potere che ha dominato in modo tanto pervasivo e tanto a lungo. Umberto Ambrosoli, candidato della società civile e sostenuto da un ampio schieramento di forze politiche di centrosinistra, è un’opportunità per chi vuol cambiare la politica. È una persona pulita e trasparente, uno di noi, uno che ascolta e guida, non “l’uomo forte” al comando di truppe asservite. Viene dalla società civile, parla un linguaggio semplice e ci prospetta il ritorno alla legalità ed alla democrazia, con l’intento di riavere una comunità governata da principi di giustizia ed equità.

Le sue idee sono chiare, le proposte credibili. Alcuni esempi.

Sulla Sanità, che assorbe l’80% del bilancio regionale, Ambrosoli ritiene che il vero problema non sia quello di contrapporre pubblico a privato, ma difendere il Servizio Sanitario nazionale dal reale rischio di estinzione per mancanza di risorse economiche ed inefficacia dei servizi. Il programma di Ambrosoli prevede di cambiare il sistema delle nomine dei manager nelle Asl e negli ospedali, passando dai criteri “politici” a quelli di merito e per concorso. Per la sanità privata, poi, propone di mettere in atto sistemi di valutazione rigorosi che garantiscano la qualità delle prestazioni per gli utenti e nel contempo l’eliminazione degli episodi di mala gestione cui ci ha abituati il modello Formigoni.

Riguardo al welfare Ambrosoli dissente totalmente dalla modello “voucher” voluto dal centrodestra perché, oltre a non garantire la libertà di scelta millantata da Formigoni, lascia sole le persone (soprattutto gli anziani) di fronte ai loro problemi. Ambrosoli propone invece di favorire e sostenere le politiche di Asl e Comuni, che sono gli enti più di prossimità a chi ha bisogno e che devono operare all’interno di “reti” di sostegno efficaci ed efficienti.

In Lombardia Comuni, Province e Regione hanno in cassa oltre 9 miliardi di euro bloccati dal Patto di stabilità nazionale. Ambrosoli e il PD propongono di regionalizzare il patto, per sbloccare 5 miliardi di pagamenti alle imprese, perché questa è una delle soluzioni più efficaci per attivare meccanismi virtuosi, rilanciare gli investimenti, far crescere l’economia, le imprese, l’occupazione, creando nuovi posti di lavoro.

Ambrosoli vuole stringere con i Comuni patti di collaborazione per la sostenibilità ambientale, per la difesa del territorio da inquinamento e catastrofi dovute all’incuria, per trasporti pubblici e mobilità.

Queste sono alcune buone proposte contenute nel programma di Ambrosoli che possono consentire alla nostra regione di riprendersi quella leadership europea che 18 anni di governo del centrodestra le hanno fatto inesorabilmente perdere.

Tutti assieme possiamo far vincere una Lombardia giusta, solidale e coesa. Una Lombardia del lavoro e della creatività, delle persone e delle famiglie. Una Lombardia dove i nostri figli potranno avere una vita migliore.

Ogni voto in più ci darà più forza per cambiare l’Italia a partire dalla nostra Lombardia.


Noi amiamo la nostra terra e vogliamo davvero una nuova stagione.


Per questo il 24 e 25 Febbraio alle elezioni regionali votiamo Umberto Ambrosoli.

domenica 17 febbraio 2013

Elezioni Lombardia-2

Con buona pace di Roberto Maroni, la Lega Nord è una forza politica ampiamente minoritaria nel panorama nazionale. A urne chiuse si attesterà attorno al 4-5%, decimale più, decimale meno. Rispetto alle Regionali del 2010, i sondaggi prevedono che perderà il 50% dei consensi, ritornando così alle sue dimensioni fisiologiche di movimento localista, marginale nel sistema politico italiano. La confusa strategia politica degli ultimi mesi, pro Formigoni, contro Formigoni, pro PdL, spiega, più di tante parole, il caos della leadership succeduta al vecchio Bossi. Dopo le note e per nulla edificanti vicende legate al finanziamento pubblico. Per far dimenticare tutto ciò serviva un rigurgito di “padanità”, una proposta shock. Poco importa se priva di senso compiuto e realizzabile quanto la restituzione dell’IMU dell’eterno compagno di merende Silvio Berlusconi. E Maroni l’ha trovata nel 75% del gettito fiscale che pretende rimanga in Lombardia.

Eppure, in un panorama politico dominato da timore, indecisione e frammentazione, una così poca cosa, rischia di essere determinante per il risultato delle elezioni nella nostra regione. Grazie anche all’ennesimo, ignominioso voltafaccia di Roberto Formigoni, che da Sponsor di Albertini è ora il primo sostenitore di quel Maroni che lo ha mandato a casa anzitempo.

Da Formigoni a Maroni. Dai For-scandali alla Mar-secessione. Questo è il rischio che corre le nostra regione. Un rischio strutturale, sistemico. Piemonte, Lombardia e Veneto contemporaneamente (s)governati da un movimento populista, secessionista, isolazionista. La parte più avanzata e produttiva del Paese che riporta l’orologio della storia a metà ‘800. Che ingaggia una lotta senza quartiere con il resto del Paese, con le Istituzioni e il Governo della Repubblica dei cui benefici Bossi e soci hanno fruito a man bassa per anni. Altro che Roma ladrona.

Piemonte, Lombardia e Veneto a presidenza leghista significa tensione istituzionale alle stelle tra potere locale e Governo centrale. Significa guerriglia endemica tra i governatori leghisti e Palazzo Chigi. Significa, nondimeno, il ritorno del nostro Paese all’inaffidabilità internazionale già sperimentata con l’ultimo governo Berlusconi. Significa sfiducia degli investitori internazionali, spread alle stelle, recessione galoppante, disoccupazione drammatica e debito pubblico senza freni. Significa, in parole semplici, più povertà e più insicurezza per tutti i lombardi.

Serve alla nostra regione un progetto che unisca, piuttosto che dividere. Un progetto realistico che sappia parlare al cuore dei lombardi, piuttosto che solamente alla pancia. Un progetto che valorizzi il lavoro dei molti cittadini lombardi piuttosto che difendere l’illegalità dei pochi evasori delle quote latte. Questo è il progetto che il PD sostiene candidando Umberto Ambrosoli alla presidenza di Regione Lombardia.

Votare PD alle elezioni regionali significa credere nel rilancio di una regione capace di mettersi in sintonia con la voglia di rinascita del Paese, piuttosto che isolarsi nelle secche di una visione senza futuro. Che dai For-scandali ci precipiterebbe nella Mar-secessione.

giovedì 31 gennaio 2013

Elezioni in lombardia - 1

Sarà peggio che si è fatto rimborsare la lavatrice o il barattolo di Nutella? Probabilmente è una domanda senza senso. E rispondere servirebbe a ben poco.

Molto più importante ai fini elettorali è chiedersi che fine abba fatto il tema della riduzione dei costi della politica nelle campagna elettorale dei candidati al Consiglio regionale lombardo. E' talmente marginale che praticamente non ce ne è traccia. Eppure, guardate qui sotto, la tanto decantata riduzione delle retribuzioni effettuata nella legislatura appena terminata è una bufala colossale. Si tratta di riduzioni sostanzialmente figurative. I nuovi consiglieri continueranno ad incassare 10.000 Euro netti al mese (€ +, € -). E nel 2013 le casse della regione dovranno anche sborsare poco meno di 26 milioni di Euro per i vitalizi dei consiglieri che non verranno rieletti. E' troppo chiedere che i candidati del PD sottoscrivano un impegno formale a ridurre del 50% queste retribuzioni? A iniziare da chi i 10.000 Euro netti li ha già incassati per 3 anni?





domenica 27 gennaio 2013

Per non dimenticare mai!



C'e un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora
la marca di fabbrica
c’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio di scarpette infantili
a Buchenwald
più in là c’è un mucchio di riccioli biondi
di ciocche nere e castane
a Buchenwald
servivano a far coperte per soldati
non si sprecava nulla
e i bimbi li spogliavano e li radevano
prima di spingerli nelle camere a gas

C’è un paio di scarpette rosse per la domenica
a Buchenwald
erano di un bambino di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini
li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l’eternità
perchè i piedini dei bambini morti
non crescono

C’è un paio di scarpette rosse
a Buchenwald
quasi nuove
perchè i piedini dei bambini morti
non consumano le suole.
(Joyce Lussu)

sabato 19 gennaio 2013

L'Italia giusta

«Il tempo delle decisioni di emergenza dovrebbe essere finito. La priorità deve ora essere la crescita», così, nei giorni scorsi, J. M. Barroso, presidente della Commissione Europea.

Potrebbe apparire un’affermazione tranquillizzante, ancorché nella prima parte Barroso utilizza prudentemente il condizionale lasciando intendere la necessità di conferme nei prossimi mesi. Rischia però di esserlo meno nella seconda dove l’uso l’indicativo sembra affidare alla sola crescita economica le sorti del nostro futuro.

Looking to 2060: long-term global growth prospects” è il titolo di uno studio OCSE, (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, con sede a Parigi) pubblicato nelle scorse settimane, che per il nostro Paese prevede una crescita media del PIL pari all’1,4% nei prossimi 50 anni. Addirittura peggio per la Germania, con un 1,1%. Lo stesso report prevede forti rallentamenti anche nella crescita delle economie emergenti: il Pil della Cina crescerà solo del 4%, quello dell'India del 5,1%, quello del Brasile del 2,8%, quello della Russia dell'1,9%. Una situazione a dir poco preoccupante per un modello economico come quello capitalista che, se non cresce di almeno il 3% all’anno, prima o poi implode. E infatti ci siamo andati vicini.

In questa situazione, potenzialmente generatrice di forti tensioni internazionali oltreché interne, la provvidenziale scelta dell’Europa di dotarsi di una moneta unica, mostra una valenza di stabilità che va molto al di la dell’aspetto puramente monetario, ma investe direttamente i rapporti tra gli stati stessi. Molte perplessità suscita invece il cd “Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria”, sottoscritto lo scorso anno da 25 dei 27 paesi dell’Unione Europea. Due gli aspetti maggiormente criticabili. L’elevazione a norma costituzionale del vincolo di pareggio di bilancio e l’impegno a ridurre del 5% all’anno il rapporto tra debito e PIL fino a portarlo al 60%. Il primo è fortemente criticato da molti premi Nobel per l’economia, tra essi Paul Krugman, che lo considerano un potenziale fattore di distruzione dello stato sociale. Il secondo si presenta come un impegno non realistico, soprattutto per Paesi come l’Italia che oggi hanno un rapporto debito/PIL al 120%, anche alla luce sia della recessione che attraversa gran parte dell’Europa che dei tassi di crescita previsti dal rapporto OCSE.

Sempre l’OCSE, lo scorso anno, ha presentato il rapporto "Divided we stand: Why inequality keeps rising" dal qual emerge con chiarezza l’enorme aumento della disuguaglianza nei Paesi sviluppati nel corso degli ultimi 30 anni, con forte accelerazione negli ultimi 10 soprattutto in Italia dove la differenza di reddito tra il 10% più ricco della popolazione ed il 10% dei meno abbienti è ormai di 10 a 1! Allo stesso tempo, aggiunge OCSE, “le aliquote marginali d’imposta sui redditi più alti si sono quasi dimezzate passando dal 72% nel 1981 al 43% nel 2010”. Tra le molte catastrofiche eredità del ventennio Berlusconi-Bossi-Maroni questa è una delle più socialmente esplosive e maggiormente sottovalutate.

In una campagna elettorale che inizia lasciando intendere di non aver imparato nulla dalle precedenti, tanto sembra ruotare attorno alle facezie del più ricco d’Italia piuttosto che ai problemi dei molti impoveriti dal succedersi dei suoi governi, è necessario cogliere quei pochi messaggi significativi fino ad ora emersi. Quando Bersani lancia lo slogan “l’Italia giusta” e afferma che il prossimo governo di centrosinistra dovrà “prendere i soldi dove sono per metterli dove vanno messi”, lancia un chiaro messaggio di riequilibrio delle disparità per altro in linea con le raccomandazioni del rapporto OCSE. Del resto, se c’è una critica che sicuramente il governo Monti si merita, è quella di essere intervenuto per evitare il baratro berlusconiano senza troppo badare alla diversa capacità contributiva dei singoli cittadini e delle loro famiglie. E, come ricordava un profeta del calibro di Lorenzo Milani, “Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali”. Concetto, questo, ripreso autorevolmente da Giorgio Napolitano, nel suo discorso di fine anno, quando ha affermato essere giunto il momento che «la questione sociale sia il cuore della politica».

Ai temi della riduzione delle disparità, della preferenza per un modello economico non più basato solamente su una crescita illimitata, sulla massimizzazione del profitto e del consumo in un’ottica individualistica ed egoistica, il centrosinistra ed il PD in particolare dedicheranno grande attenzione nel programma per il nuovo Governo. In questo trovandosi in piena sintonia con quanto affermato 50 anni fa dal Concilio Vaticano II che, nel documento “Gaudium et Spes” invita credenti e non a «impegnarsi con ogni sforzo affinché le ingenti disparità economiche che portano con se discriminazione nei diritti individuali e nelle condizioni sociali, vengano rimosse quanto più rapidamente possibile». Può essere una riflessione utile, tanto per chi tra i credenti (e non solo) vorrà esercitare il proprio diritto di voto, quanto per coloro che si ritenessero chiamati ad orientarlo.

Distrazioni di massa

Pochi giorni fa, Maroni e Berlusconi hanno sottoscritto un patto elettorale nel quale si conviene che quest’ultimo non sarà indicato alla presidenza del Consiglio dei Ministri qualora il centrodestra dovesse vincere le elezioni politiche di febbraio. Ma nel simbolo elettorale depositato dal PdL al Viminale per le medesime elezioni, campeggia la scritta “Berlusconi presidente”.

In Lombardia, Roberto Formigoni dopo essersi dimesso anzitempo a seguito degli infiniti scandali che hanno inguaiato la sua ex maggioranza, è stato il primo e più convinto sostenitore della candidatura Albertini a nuovo Presidente della Regione, avversando l’accordo PdL-Lega che candidava invece Roberto Maroni. Ma pochi giorni fa ha rinnegato la candidatura Albertini e persa la faccia, perso l’onore, ma salvata la poltrona, è tornato alla corte di Silvio, pronto a sostenere la candidatura di Maroni in cambio di un seggio al Senato. La paura fa 90, recita un vecchio adagio e potrebbero bastare questi episodi per sintetizzare il caos primordiale nel quale si dibattono PdL e Lega tanto a livello nazionale che regionale.

Il Governo Monti, caduto per mano di Berlusconi, aveva abituato gli italiani a confrontarsi con i problemi reali del Paese. Anche chi non ne condivideva in tutto o almeno in parte i provvedimenti, e chi scrive è tra questi ultimi, non può negare il salto qualitativo nelle modalità di relazionarsi tanto con i cittadini, quanto con i partner internazionali. Purtroppo questi primi annunci di campagna elettorale, monopolizzata dal ritorno di Berlusconi sulla scena politica, stanno riportando indietro di un anno i toni del confronto politico. Una caduta di stile di cui l’Italia non ha sicuramente bisogno.

La partecipazione di Berlusconi alla trasmissione Servizio Pubblico prefigura una campagna elettorale rissosa e caotica, assoggettata alle regole dello show business televisivo. Una modalità che in nulla serve agli italiani, ma molto, moltissimo a Berlusconi stesso. Bene fa Bersani a non accettare questo tipo di impostazione che rischia di trasformare la campagna elettorale in uno strumento di distrazione di massa. Ma non è sufficiente. Il PD, perno della coalizione di centrosinistra e unica forza politica ad aver dimostrato di saper interagire efficacemente con gli elettori tramite lo strumento delle primarie, deve utilizzare ogni occasione utile, ogni minuto di questa campagna elettorale per portare il confronto sui programmi di governo: lavoro, scuola, sanità welfare, riduzione delle disuguaglianze, politica industriale e ambiente, politiche fiscali e contrasto all’evasione senza se e senza ma, Europa.

Solo portando il confronto sui programmi può essere smascherata la vacuità del tentativo di Berlusconi di riportare il PdL al centro della scena politica: un tentativo che, qualora raggiungesse l’obiettivo di far mancare al centrosinistra la maggioranza al Senato, rischierebbe di rendere l’Italia ingovernabile. Solo portando il confronto sui programmi sarà possibile ricordare agli elettori che i maggiori responsabili delle drammatiche condizioni in cui versano molte famiglie sono Berlusconi-Bossi-Maroni, non certo il Governo Monti che si è dovuto far carico del loro fallimento. Solo portando il confronto sui programmi il PD potrà evidenziare le contraddizioni insanabili presenti nel variegato schieramento di centrodestra (13 liste, per quanto se ne sappia al momento) dove Maroni, che vuole tenere in Lombardia il 75% del gettito fiscale, sarebbe “alleato” con “Grande Sud” di Miccichè che millanta giganteschi trasferimenti di risorse al meridione. Solo portando il confronto sui programmi sarà possibile rimettere al centro della politica la persona, gli italiani in carne ed ossa, donne e uomini con i loro bisogni e le loro speranze. Piuttosto che le bizzarrie di un anziano signore il cui tenore di vita non è neppure scalfito dai 100.000 euro che, ogni giorno, deve pagare alla ex moglie.