Davvero difficile elencare tutte le categorie di “traditori” che usurpano un posto tra i parlamentari PD. Forse quelli occulti sono moralmente più riprovevoli di quelli palesi, ma alla prova del voto contano uguale. Non così difficile potrebbe essere identificare i capibanda che albergano dentro e fuori le fila dei parlamentari PD. Sono capibanda sanguinari, che non si fermano davanti a nulla. Espertissimi nell’arte dell’inciucio, a volte, a dispetto della giovane età. Tanto ai primi quanto ai secondi non difetta un ego smisurato, inversamente proporzionale alla capacità di una analisi e proposta politica che non sia a proprio esclusivo tornaconto. Alcuni di loro tacciono o se ne stanno lontani dopo i misfatti dei giorni scorsi, sperando di non dare nell'occhio. Altri guadagnano le luci della ribalta con frasi paradigmatiche di chi non ha la più pallida idea di cosa significhi stare denmtro un partito: «Mi dispiace per Napolitano, per il Pd e per tutti noi, ma ho votato bianca», «Incomprensibile che il Pd non appoggi Stefano Rodotà o non proponga Emma Bonino».
Il (già) segretario Pierluigi Bersani non ne ha imbroccata una, almeno dalle elezioni in poi. Forse non merita l’apologia dello sconfitto, ma sarebbe ingeneroso attribuire solo a lui la responsabilità del disastro accaduto. Certo bisogna riconoscere che sarebbe stato difficile fare di peggio che candidare Franco Marini pur di diventare Presidente del Consiglio, ma anche fare di meglio circondato com’era da oltre 100 criminali politici che non hanno avuto la minima remora a macchiarsi di parricidio, nel segreto dell'urna parlamentare, negando il “nostro” voto a Romano Prodi.
Le primarie sono (state) un importante momento di coinvolgimento dei cittadini. Ma dobbiamo riconoscere che non hanno prodotto il cambiamento che ci si aspettava. Al ringiovanimento anagrafico non ha corrisposto quello politico. Anche noi elettori delle primarie, quando scegliamo, lo dobbiamo fare con molta, molta maggiore avvedutezza.
Il PD non è (ancora) al rigor mortis, ma è sicuramente in arresto cardiaco. Serve un defibrillatore prima che l’encefalogramma politico divenga irreversibilmente piatto. Ma un solo congresso straordinario mi sembrerebbe uno strumento troppo ordinario per affrontare una situazione tanto drammatica. Il problema, se così mi posso esprimere, più che di numeri è di ontologia politica. Prima di contarsi serve dirsi francamente chi vogliamo essere. Perché il “chi è” del PD, in questo momento, non lo sa nessuno. Deputati e senatori che non sanno ricompattarsi nemmeno intorno al nome del padre nobile, non rappresentano più “quel” partito. Ma anche quella base che ha alzato (giustamente) la sua voce più contro l’operazione Marini che il siluramento di Prodi non è molto diversa dai suoi rappresentanti. Il PD nato dall'esperienza dell'Ulivo è una forza politica plurale, riformista solidale, indispensabile alla vita democratica del Paese. Il PD che abbiamo visto in questi giorni è talmente sfigurato da essere irriconoscibile. E temo non serva a nessuno.
Un’atmosfera surriscaldata non è mai un buon viatico per una riflessione politica sui fondamentali di un partito o di un impegno. Certo sono anch’io sconcertato da un possibile governo con Berlusconi. Ma mi permetto di affermare che se il PD capissse chi è oggi e dove vuole andare potrebbe sopravvivere anche ad un simile stato di necessità contro natura. E perfino rafforzarsi.
In caso contrario, lo perderemo. Con o senza governissimo.