Pochi giorni fa, Maroni e Berlusconi hanno sottoscritto un patto elettorale nel quale si conviene che quest’ultimo non sarà indicato alla presidenza del Consiglio dei Ministri qualora il centrodestra dovesse vincere le elezioni politiche di febbraio. Ma nel simbolo elettorale depositato dal PdL al Viminale per le medesime elezioni, campeggia la scritta “Berlusconi presidente”.
In Lombardia, Roberto Formigoni dopo essersi dimesso anzitempo a seguito degli infiniti scandali che hanno inguaiato la sua ex maggioranza, è stato il primo e più convinto sostenitore della candidatura Albertini a nuovo Presidente della Regione, avversando l’accordo PdL-Lega che candidava invece Roberto Maroni. Ma pochi giorni fa ha rinnegato la candidatura Albertini e persa la faccia, perso l’onore, ma salvata la poltrona, è tornato alla corte di Silvio, pronto a sostenere la candidatura di Maroni in cambio di un seggio al Senato. La paura fa 90, recita un vecchio adagio e potrebbero bastare questi episodi per sintetizzare il caos primordiale nel quale si dibattono PdL e Lega tanto a livello nazionale che regionale.
Il Governo Monti, caduto per mano di Berlusconi, aveva abituato gli italiani a confrontarsi con i problemi reali del Paese. Anche chi non ne condivideva in tutto o almeno in parte i provvedimenti, e chi scrive è tra questi ultimi, non può negare il salto qualitativo nelle modalità di relazionarsi tanto con i cittadini, quanto con i partner internazionali. Purtroppo questi primi annunci di campagna elettorale, monopolizzata dal ritorno di Berlusconi sulla scena politica, stanno riportando indietro di un anno i toni del confronto politico. Una caduta di stile di cui l’Italia non ha sicuramente bisogno.
La partecipazione di Berlusconi alla trasmissione Servizio Pubblico prefigura una campagna elettorale rissosa e caotica, assoggettata alle regole dello show business televisivo. Una modalità che in nulla serve agli italiani, ma molto, moltissimo a Berlusconi stesso. Bene fa Bersani a non accettare questo tipo di impostazione che rischia di trasformare la campagna elettorale in uno strumento di distrazione di massa. Ma non è sufficiente. Il PD, perno della coalizione di centrosinistra e unica forza politica ad aver dimostrato di saper interagire efficacemente con gli elettori tramite lo strumento delle primarie, deve utilizzare ogni occasione utile, ogni minuto di questa campagna elettorale per portare il confronto sui programmi di governo: lavoro, scuola, sanità welfare, riduzione delle disuguaglianze, politica industriale e ambiente, politiche fiscali e contrasto all’evasione senza se e senza ma, Europa.
Solo portando il confronto sui programmi può essere smascherata la vacuità del tentativo di Berlusconi di riportare il PdL al centro della scena politica: un tentativo che, qualora raggiungesse l’obiettivo di far mancare al centrosinistra la maggioranza al Senato, rischierebbe di rendere l’Italia ingovernabile. Solo portando il confronto sui programmi sarà possibile ricordare agli elettori che i maggiori responsabili delle drammatiche condizioni in cui versano molte famiglie sono Berlusconi-Bossi-Maroni, non certo il Governo Monti che si è dovuto far carico del loro fallimento. Solo portando il confronto sui programmi il PD potrà evidenziare le contraddizioni insanabili presenti nel variegato schieramento di centrodestra (13 liste, per quanto se ne sappia al momento) dove Maroni, che vuole tenere in Lombardia il 75% del gettito fiscale, sarebbe “alleato” con “Grande Sud” di Miccichè che millanta giganteschi trasferimenti di risorse al meridione. Solo portando il confronto sui programmi sarà possibile rimettere al centro della politica la persona, gli italiani in carne ed ossa, donne e uomini con i loro bisogni e le loro speranze. Piuttosto che le bizzarrie di un anziano signore il cui tenore di vita non è neppure scalfito dai 100.000 euro che, ogni giorno, deve pagare alla ex moglie.
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