Può funzionare una democrazia senza partiti? Quasi un italiano su due (48%) sembra convinto di si ed è invece necessario interpellare almeno 25 per trovarne uno che dica di credere nei partiti (4%). Bastano questi due dati, frutto di un recente sondaggio SWG, per dar corpo ad una idea che sembra diffondersi sempre di più tra gli italiani: dei partiti si può fare a meno. Non di questo o quel partito, ma dei partiti in quanto tali. Segno evidente di una frattura tra cittadini e partiti mai così ampia nella storia repubblicana.
Anche se nessuno si dice disposto a rinunciare alla democrazia, si fa strada l’idea che sia possibile “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (Costituzione, Art. 49) senza i partiti. Anzi, i cittadini li vedono come un ostacolo a influire con il loro parere sulle scelte che li riguardano. Locali o nazionali che siano. Il Movimento 5 Stelle non fa mistero del suo essere “non partito”. Si dice orgoglioso di rifiutare l’organizzazione propria di un partito, inteso secondo il modello costituzionale. Sceglie di non dotarsi di uno Statuto, di una gerarchia interna, (ma si affida un leader indiscusso ed indiscutibile) di regole codificate per il suo funzionamento. A tutto ciò dice di preferire un utilizzo spinto degli strumenti propri della “rete” in quanto garanzia di una migliore e più efficiente democrazia. In estrema sintesi un modello dove cliccare su ‘mi piace’ sostituisce il confronto di idee e la mediazione tra posizioni differenti. Un modello che qualcuno chiama di democrazia istantanea e che sembra incontrare oggi il favore dei cittadini; sembra intercettare una domanda di senso preclusa ai partiti tradizionali.
Viviamo in una società fortemente plurale, frazionata per interessi, orientamento culturale e religioso, capacità economica e posizionamento sociale; una società che necessita di luoghi in grado dare aggregazione e rappresentanza alle affinità e capaci di fare sintesi delle diversità. Ancora necessita di luoghi di elaborazione delle risposte ai bisogni dei cittadini e non solamente di elencazione delle domande e denuncia delle storture. Questi luoghi, per anni rappresentati dai partiti politici, sono oggi in gran parte accusati di aver abdicato a queste responsabilità e non più ritenuti interlocutori credibili dai cittadini. In questo il berlusconismio ha una responsabilità enorme, per aver martellato per vent’anni gli italiani con messaggi anti-politica e anti-partiti. Ma altrettanto enorme è la responsabilità delle classi dirigenti, divenute nel tempo autoreferenziali, per aver trasformato i partiti in luoghi di privilegio quando non di malaffare. Ma una democrazia senza partiti scivola presto nel populismo e nella dittatura. Noi italiani non dobbiamo uscire dai confini nazionali per ricordare quali conseguenze comporta fare a meno dei partiti democratici, anche se per volontà di un politico democraticamente eletto.
Se quindi una democrazia senza partiti non esiste, ne consegue la drammatica responsabilità di questi ultimi per aver perso la fiducia dei cittadini, al punto da convincerne, più del 50%, a rifugiarsi nell’area del non voto o a cercare risposte nei “non partiti”.
Il PD è l’unico soggetto politico, presente su tutto il territorio nazionale, sopravvissuto allo tsunami delle recenti elezioni amministrative. L’unico nato espressamente per farsi carico e dare rappresentanza ad una società complessa, che non si governa con l’identificazione di tutti nell’uno, (il leader carismatico) ma con la convivenza possibile dei molti. Ed è l’unico partito, erede di Moro, Berlinguer e Zaccagnini, dove è possibile parlare di politica come servizio alla società e al bene comune senza suscitare derisione.
Per questo la nostra responsabilità è più grande. Per questo non possiamo trattare con sufficienza chi cerca nei nuovi movimenti le risposte che non ha trovato altrove. Per questo dobbiamo essere radicali nel tornare ai valori delle origini e riconquistare la fiducia degli elettori. Condizione indispensabile per essere nuovamente credibili quando proponiamo soluzioni ai bisogni del Paese.
(scritto per il numero di giugno del periodico del PD saronnese "In Piazza")
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