Poco più di 1000 comuni sugli oltre 8100 del nostro Paese; poco meno di 10 milioni di elettori. Non così poco, però, per qualche riflessione. Anche nella prospettiva delle politiche della primavera 2013, dalle quali ci separa ormai meno di un anno.
E’ stato detto, forse non a torto, che Grillo non può essere considerato una sorpresa: in fondo, da quasi vent’anni gli italiani votano comici e macchiette. La battuta è buona, ma sarebbe pericoloso fermarsi li. I risultati, pur previsti nel trend, sono clamorosi nelle dimensioni.
Il PdL non ha subito la sconfitta pur annunciata: è imploso. In gran parte delle realtà si è sostanzialmente dissolto. La Lega di Bossi ha perso persino Cassano Magnago, a casa del capo. A Monza è passata dal 20 al 7,5%; a Belluno dal 22 al 4,5. A Verona ha vinto Tosi, la Lega di Maroni. Già, la Lega di Bossi e quella di Maroni: due partiti, ormai al lumicino. Anche a Pierfurbi non è andata bene. Alla prima vera occasione, la sua UDC ha fallito l’obiettivo che persegue da sempre: raccogliere il consenso in uscita dal centrodestra.
Per fortuna, decisamente meglio è andata al centrosinistra e al PD in particolare che vince in 92 comuni e riconquista città e paesi da vent’anni amministrati da Lega e PDL. Ma si è trattato di un atterraggio morbido, di vittorie ottenute anche grazie a una riduzione dei consensi molto più contenuta che nel centrodestra.
In questo panorama, due sono i reali vincitori. Il Movimento 5 Stelle (M5S) di Grillo, che porta a casa “solo” 4 sindaci, ma raddoppia i consensi ottenuti alle regionali del 2010 e il “partito” degli astenuti, ormai prossimo al 50%. Grillo e astenuti hanno dato voce al grido di dolore, quando non di sdegno, che attraversa l’Italia alimentato dall’immobilismo, incredibilmente suicida, di un’intera classe politica. Come non ricordare le richieste che da mesi i cittadini rivolgono ai partiti che per anni hanno votato? Nuova legge elettorale, ristrutturazione del finanziamento pubblico mascherato da rimborso elettorale, trasparenza nei bilanci, eliminazione dei privilegi, riduzione del compenso di parlamentari e consiglieri regionali, limitazione del numero dei mandati. Richieste semplici, di buon senso, che la crisi attuale, prima che una sia pur limitata dose di etica, chiederebbe di accogliere senza esitazione. E invece, nulla. Scriviamo quando sono ormai trascorsi 45 giorni dal momento in cui i presidenti di Senato e Camera si sono impegnati a portare in aula una riforma del finanziamento pubblico dei partiti. 45 giorni perduti. Meglio, 45 giorni che hanno (giustamente?) ingrossato le fila dei grillini.
E sbagliano, a mio avviso, coloro che considerano il M5S solo un effetto ottico che raccoglie un voto umorale, qualunquista e antipolitico come le performances circensi del leader lascerebbero credere. Dietro quel successo c’è una crescente domanda di politica, insoddisfatta dai partiti tradizionali. Non lo prova solo la scelta dei parmensi che hanno preferito il giovane Pizzarotti a Bernazzoli, politico di lungo corso. Lo prova il fatto che Grillo non sfonda dove la politica “tradizionale”, di qualunque colore, riesce a mostrare una faccia che i cittadini percepiscono come credibile. E’ accaduto a Verona con Tosi e a Palermo con Orlando: due candidati diversi in tutto, (età, storia, provenienza politica e proposta amministrativa) ma ugualmente considerati non omologabili ai partiti tradizionali dall’elettorato locale. Ancora lo prova Genova dove Grillo ha ottenuto ottimi risultati con un candidato sindaco che non proviene certo dai centri sociali, ma dal mondo dell’impresa e del volontariato. Infine lo provano le molte vittorie locali ottenute da quei candidati PD che hanno saputo intercettare questa domanda facendo premio sulla possibile sfiducia verso il partito nazionale con la loro faccia e le loro storie personali.
La lezione è dura, la diagnosi non lascia scampo. I partiti tutti non hanno che due possibilità: ignorarla, aprendo così le porte del Parlamento a Grillo che nel 2013 prenderà milioni di voti ed eleggerà decine di deputati e senatori. Oppure voltare rapidamente pagina approvando, entro l’estate, una legge elettorale decente, una vera riforma del finanziamento pubblico e una sostanziale riduzione dei costi di parlamentari e consiglieri regionali.
Il PD è l’unico graziato dai cittadini in questa tornata amministrativa.
Un “di più” di fiducia che è al contempo un di più di responsabilità e una sfida. Il PD rimane l’unica organizzazione politica presente su tutto il territorio nazionale e pertanto è stato in grado di ottenere un risultato elettorale sostanzialmente omogeneo in tutte le regioni.
Adesso dobbiamo essere il motore di un ritorno della politica a servizio del bene comune, altrimenti rischiamo la sconfitta fra qualche mese o fra pochi anni. A livello nazionale non meno che a livello locale.
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