Bondi l'ha chiamata scuola di formazione politica, quella che ha affastellato ad Orvieto. E c'erano quindi da aspettarsi contenuti positivi e toni improntati alla speranza.
A giudicare dai due interventi del segretario politico, sembra invece aver prevalso la disperazione.
E' questo lo stato d'animo che si evince dalle parole di Angelino Alfano. Che ancora questa mattina si è prodigato all'inverosimile per nascondere il tramonto di Berlusconi (che gli ha preferito la Dacia di Putin) e le tremende responsabilità del PdL per la situazione al limite del default che il governo Monti ha ereditato.
Aveva una ricetta per ogni problema Angelino: per la riforma del lavoro, per le banche, per la crescita, per le PMI, per gli ordini professionali, per... Ma non una ricetta nuova, frutto di una responsabile analisi del catastrofico fallimento di quasi vent'anni di governo. Angelino parlava come se lui e i suoi al governo non ci fossero mai stati; come se lo spread a 600 punti lo avesse lasciato in eredità, che so, il governo Prodi. Erano le solita minsestra, quella cucinata per anni e anni da Berlusconi, Bossi e Tremonti, con i risultati che conosciamo.
Ma soprattutto, Angelino, era dominato dall'angoscia di avere un compito improbo: quello di essere chiamato a riuscitare un cadavere: il PdL.
Provare compassione per il politico (non l'unico a dire il vero) del "lodo" e delle leggi ad personam, mi riesce un po' difficile. Ammetto però che assumersi il compito di risuscitare qualcuno, senza chiamarsi Gesù Cristo, richiede coraggio. O lucida follia.
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