Era un criminale, Mu’ammar Gheddafi . Il suo era un regime fondato sulla violenza e sul sopruso. Sul rifiuto di ogni forma democratica . Per anni il leader libico ha sostenuto il terrorismo internazionale. Forse la sua fine non poteva essere diversa. Diversa dalla fine di quasi tutti i tiranni sanguinari quando la loro dittatura viene travolta e finisce in modo cruento.
Era un criminale blandito dalle democrazie europee, Mu’ammar Gheddafi. Che fondano i propri regimi su Costituzioni democratiche. Ma ispirano il proprio agire al più prosaico “pecunia non olet”. E la sua morte fa più comodo a molte di esse più di quanto sia utile al popolo libico. Da un suo processo in sede internazionale sarebbero emersi fatti e particolari alquanto imbarazzanti; inconfessabili. Forse anche per questo, da molte cancellerie, sono venute dichiarazioni di soddisfazione. Tanto affrettate quanto improprie, a ben vedere. Difficili da conciliare con le norme del diritto internazionale che pure governi e governanti dicono di rispettare.
Le immagini della cattura e degli ultimi momenti di vita del rais sono state rilanciate dai media quasi fossero uno spettacolo di eccellenza; di rilevanza internazionale. La rete, con la sua pervasività e capillarità globale, ha fatto il resto. La giusta esultanza di un popolo per la fine di un regime è stata equiparata allo scempio di un cadavere calpestato.
Ma la morte non meno che la vita di un uomo meritano rispetto. Indipendentemente dalle responsabilità di questi quando era in vita. Farne spettacolo non costruisce nulla. E’ una barbarie. Paragonabile a quelle di cui il colonnello si è reso responsabile nei 42 lunghi anni di regime.
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