Si può essere sovversivi chiedendo che le leggi vengano rispettate da chi ci governa (Ennio Flaiano)

giovedì 31 gennaio 2013

Elezioni in lombardia - 1

Sarà peggio che si è fatto rimborsare la lavatrice o il barattolo di Nutella? Probabilmente è una domanda senza senso. E rispondere servirebbe a ben poco.

Molto più importante ai fini elettorali è chiedersi che fine abba fatto il tema della riduzione dei costi della politica nelle campagna elettorale dei candidati al Consiglio regionale lombardo. E' talmente marginale che praticamente non ce ne è traccia. Eppure, guardate qui sotto, la tanto decantata riduzione delle retribuzioni effettuata nella legislatura appena terminata è una bufala colossale. Si tratta di riduzioni sostanzialmente figurative. I nuovi consiglieri continueranno ad incassare 10.000 Euro netti al mese (€ +, € -). E nel 2013 le casse della regione dovranno anche sborsare poco meno di 26 milioni di Euro per i vitalizi dei consiglieri che non verranno rieletti. E' troppo chiedere che i candidati del PD sottoscrivano un impegno formale a ridurre del 50% queste retribuzioni? A iniziare da chi i 10.000 Euro netti li ha già incassati per 3 anni?





domenica 27 gennaio 2013

Per non dimenticare mai!



C'e un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora
la marca di fabbrica
c’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio di scarpette infantili
a Buchenwald
più in là c’è un mucchio di riccioli biondi
di ciocche nere e castane
a Buchenwald
servivano a far coperte per soldati
non si sprecava nulla
e i bimbi li spogliavano e li radevano
prima di spingerli nelle camere a gas

C’è un paio di scarpette rosse per la domenica
a Buchenwald
erano di un bambino di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini
li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l’eternità
perchè i piedini dei bambini morti
non crescono

C’è un paio di scarpette rosse
a Buchenwald
quasi nuove
perchè i piedini dei bambini morti
non consumano le suole.
(Joyce Lussu)

sabato 19 gennaio 2013

L'Italia giusta

«Il tempo delle decisioni di emergenza dovrebbe essere finito. La priorità deve ora essere la crescita», così, nei giorni scorsi, J. M. Barroso, presidente della Commissione Europea.

Potrebbe apparire un’affermazione tranquillizzante, ancorché nella prima parte Barroso utilizza prudentemente il condizionale lasciando intendere la necessità di conferme nei prossimi mesi. Rischia però di esserlo meno nella seconda dove l’uso l’indicativo sembra affidare alla sola crescita economica le sorti del nostro futuro.

Looking to 2060: long-term global growth prospects” è il titolo di uno studio OCSE, (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, con sede a Parigi) pubblicato nelle scorse settimane, che per il nostro Paese prevede una crescita media del PIL pari all’1,4% nei prossimi 50 anni. Addirittura peggio per la Germania, con un 1,1%. Lo stesso report prevede forti rallentamenti anche nella crescita delle economie emergenti: il Pil della Cina crescerà solo del 4%, quello dell'India del 5,1%, quello del Brasile del 2,8%, quello della Russia dell'1,9%. Una situazione a dir poco preoccupante per un modello economico come quello capitalista che, se non cresce di almeno il 3% all’anno, prima o poi implode. E infatti ci siamo andati vicini.

In questa situazione, potenzialmente generatrice di forti tensioni internazionali oltreché interne, la provvidenziale scelta dell’Europa di dotarsi di una moneta unica, mostra una valenza di stabilità che va molto al di la dell’aspetto puramente monetario, ma investe direttamente i rapporti tra gli stati stessi. Molte perplessità suscita invece il cd “Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria”, sottoscritto lo scorso anno da 25 dei 27 paesi dell’Unione Europea. Due gli aspetti maggiormente criticabili. L’elevazione a norma costituzionale del vincolo di pareggio di bilancio e l’impegno a ridurre del 5% all’anno il rapporto tra debito e PIL fino a portarlo al 60%. Il primo è fortemente criticato da molti premi Nobel per l’economia, tra essi Paul Krugman, che lo considerano un potenziale fattore di distruzione dello stato sociale. Il secondo si presenta come un impegno non realistico, soprattutto per Paesi come l’Italia che oggi hanno un rapporto debito/PIL al 120%, anche alla luce sia della recessione che attraversa gran parte dell’Europa che dei tassi di crescita previsti dal rapporto OCSE.

Sempre l’OCSE, lo scorso anno, ha presentato il rapporto "Divided we stand: Why inequality keeps rising" dal qual emerge con chiarezza l’enorme aumento della disuguaglianza nei Paesi sviluppati nel corso degli ultimi 30 anni, con forte accelerazione negli ultimi 10 soprattutto in Italia dove la differenza di reddito tra il 10% più ricco della popolazione ed il 10% dei meno abbienti è ormai di 10 a 1! Allo stesso tempo, aggiunge OCSE, “le aliquote marginali d’imposta sui redditi più alti si sono quasi dimezzate passando dal 72% nel 1981 al 43% nel 2010”. Tra le molte catastrofiche eredità del ventennio Berlusconi-Bossi-Maroni questa è una delle più socialmente esplosive e maggiormente sottovalutate.

In una campagna elettorale che inizia lasciando intendere di non aver imparato nulla dalle precedenti, tanto sembra ruotare attorno alle facezie del più ricco d’Italia piuttosto che ai problemi dei molti impoveriti dal succedersi dei suoi governi, è necessario cogliere quei pochi messaggi significativi fino ad ora emersi. Quando Bersani lancia lo slogan “l’Italia giusta” e afferma che il prossimo governo di centrosinistra dovrà “prendere i soldi dove sono per metterli dove vanno messi”, lancia un chiaro messaggio di riequilibrio delle disparità per altro in linea con le raccomandazioni del rapporto OCSE. Del resto, se c’è una critica che sicuramente il governo Monti si merita, è quella di essere intervenuto per evitare il baratro berlusconiano senza troppo badare alla diversa capacità contributiva dei singoli cittadini e delle loro famiglie. E, come ricordava un profeta del calibro di Lorenzo Milani, “Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali”. Concetto, questo, ripreso autorevolmente da Giorgio Napolitano, nel suo discorso di fine anno, quando ha affermato essere giunto il momento che «la questione sociale sia il cuore della politica».

Ai temi della riduzione delle disparità, della preferenza per un modello economico non più basato solamente su una crescita illimitata, sulla massimizzazione del profitto e del consumo in un’ottica individualistica ed egoistica, il centrosinistra ed il PD in particolare dedicheranno grande attenzione nel programma per il nuovo Governo. In questo trovandosi in piena sintonia con quanto affermato 50 anni fa dal Concilio Vaticano II che, nel documento “Gaudium et Spes” invita credenti e non a «impegnarsi con ogni sforzo affinché le ingenti disparità economiche che portano con se discriminazione nei diritti individuali e nelle condizioni sociali, vengano rimosse quanto più rapidamente possibile». Può essere una riflessione utile, tanto per chi tra i credenti (e non solo) vorrà esercitare il proprio diritto di voto, quanto per coloro che si ritenessero chiamati ad orientarlo.

Distrazioni di massa

Pochi giorni fa, Maroni e Berlusconi hanno sottoscritto un patto elettorale nel quale si conviene che quest’ultimo non sarà indicato alla presidenza del Consiglio dei Ministri qualora il centrodestra dovesse vincere le elezioni politiche di febbraio. Ma nel simbolo elettorale depositato dal PdL al Viminale per le medesime elezioni, campeggia la scritta “Berlusconi presidente”.

In Lombardia, Roberto Formigoni dopo essersi dimesso anzitempo a seguito degli infiniti scandali che hanno inguaiato la sua ex maggioranza, è stato il primo e più convinto sostenitore della candidatura Albertini a nuovo Presidente della Regione, avversando l’accordo PdL-Lega che candidava invece Roberto Maroni. Ma pochi giorni fa ha rinnegato la candidatura Albertini e persa la faccia, perso l’onore, ma salvata la poltrona, è tornato alla corte di Silvio, pronto a sostenere la candidatura di Maroni in cambio di un seggio al Senato. La paura fa 90, recita un vecchio adagio e potrebbero bastare questi episodi per sintetizzare il caos primordiale nel quale si dibattono PdL e Lega tanto a livello nazionale che regionale.

Il Governo Monti, caduto per mano di Berlusconi, aveva abituato gli italiani a confrontarsi con i problemi reali del Paese. Anche chi non ne condivideva in tutto o almeno in parte i provvedimenti, e chi scrive è tra questi ultimi, non può negare il salto qualitativo nelle modalità di relazionarsi tanto con i cittadini, quanto con i partner internazionali. Purtroppo questi primi annunci di campagna elettorale, monopolizzata dal ritorno di Berlusconi sulla scena politica, stanno riportando indietro di un anno i toni del confronto politico. Una caduta di stile di cui l’Italia non ha sicuramente bisogno.

La partecipazione di Berlusconi alla trasmissione Servizio Pubblico prefigura una campagna elettorale rissosa e caotica, assoggettata alle regole dello show business televisivo. Una modalità che in nulla serve agli italiani, ma molto, moltissimo a Berlusconi stesso. Bene fa Bersani a non accettare questo tipo di impostazione che rischia di trasformare la campagna elettorale in uno strumento di distrazione di massa. Ma non è sufficiente. Il PD, perno della coalizione di centrosinistra e unica forza politica ad aver dimostrato di saper interagire efficacemente con gli elettori tramite lo strumento delle primarie, deve utilizzare ogni occasione utile, ogni minuto di questa campagna elettorale per portare il confronto sui programmi di governo: lavoro, scuola, sanità welfare, riduzione delle disuguaglianze, politica industriale e ambiente, politiche fiscali e contrasto all’evasione senza se e senza ma, Europa.

Solo portando il confronto sui programmi può essere smascherata la vacuità del tentativo di Berlusconi di riportare il PdL al centro della scena politica: un tentativo che, qualora raggiungesse l’obiettivo di far mancare al centrosinistra la maggioranza al Senato, rischierebbe di rendere l’Italia ingovernabile. Solo portando il confronto sui programmi sarà possibile ricordare agli elettori che i maggiori responsabili delle drammatiche condizioni in cui versano molte famiglie sono Berlusconi-Bossi-Maroni, non certo il Governo Monti che si è dovuto far carico del loro fallimento. Solo portando il confronto sui programmi il PD potrà evidenziare le contraddizioni insanabili presenti nel variegato schieramento di centrodestra (13 liste, per quanto se ne sappia al momento) dove Maroni, che vuole tenere in Lombardia il 75% del gettito fiscale, sarebbe “alleato” con “Grande Sud” di Miccichè che millanta giganteschi trasferimenti di risorse al meridione. Solo portando il confronto sui programmi sarà possibile rimettere al centro della politica la persona, gli italiani in carne ed ossa, donne e uomini con i loro bisogni e le loro speranze. Piuttosto che le bizzarrie di un anziano signore il cui tenore di vita non è neppure scalfito dai 100.000 euro che, ogni giorno, deve pagare alla ex moglie.

lunedì 24 dicembre 2012

Buon Natale

«Ci sono momenti, rapidi e difficili, in cui Maria sente nello stesso tempo che il Cristo è suo figlio, il suo piccolo, e che è Dio. Lo guarda e pensa: “Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. È Dio e mi assomiglia”. Nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive» (Jean Paul Sartre)

martedì 30 ottobre 2012

Si scrive Crocetta, si legge Monti bis

Ha sicuramente ragione Bersani quando afferma che in Sicilia sono accadute "cose da pazzi". Ha vinto il Centrosinistra, con un candidato di sinistra, già sindaco antimafia.

Ma il 52% dei siciliani non è andato a votare.
Ma il Centrosinistra ha il 30% dei voti espressi (meno del 15% dei voti potenziali).

Ma la prima forza politica dell'isola è il M5 Stelle, con il 15% dei voti espressi, contro il 13 del PD.

Ma il rissoso, frammentato e sbandato universo del centrodestra, nel suo complesso, passa il 40% dei voti espressi.

Ma la "sinistra" e l'IDV sono sostanzialmente scomparsi.

La vittoria del Centrosinistra è sicuramente una buona notizia; un'ottima notizia. Per il PD. Per la Sicilia. Per l'Italia tutta.

Ma i risultati elettorali siciliani, se proiettati a livello nazionale, rischiano di avere una sola lettura: prove tecniche di Monti bis.

Già, ma in Sicilia succedono cose da pazzi!
Speriamo.

sabato 27 ottobre 2012

riPENSARE la politica


Il 24 settembre The Tablet, la maggiore rivista cattolica d’Inghilterra, ricordava una questione di fondo della crisi che attanaglia l’occidente. Talmente drammatica da convincere tutti che gli sforzi a difesa dell’Unione Europea e dell’Euro non possono essere ridotti a mero affare negoziale: “If the €uro falls, what price peace?” L’articolo, che riprendeva e rilanciava una riflessione che fu già di Romano Prodi, sposa la preoccupazione sottesa all’espressione “a qualunque costo”, usata da Draghi, Monti e Hollande per marcare una irrinunciabile linea di difesa dell’Euro dalla speculazione, torna in fondo a ribadire il medesimo concetto fatale: dopo l’Euro non ci sono “le” monete, c’è la guerra. Quella guerra che gli europei non hanno mai mancato di farsi prima che l’intuizione dei superstiti vedesse nell’Unione Europea il rimedio al male intrinseco. E l’ultima guerra che noi europei abbiamo combattuto gli uni contro gli altri coinvolgendo mezzo mondo è proprio quella che ha risolto sul piano economico la crisi del ’29, l’unica che per durata e conseguenze può essere paragonata a quella odierna.
Viviamo una fase delicata, come sospesa tra il non più di un modello economico-sociale che ci ha garantito benessere, ma che è necessariamente confinato al cinquantennio passato e il non ancora di un domani che dobbiamo imparare a costruire. In questa terra di mezzo la stessa utopia di un’Europa integrata in una Comunità e non solo nella moneta, sembra oggi chiusa dentro una morsa. Una situazione drammatica che chiede alla politica di gestire l’emergenza (dagli spread al debito, alle strategie anti-cicliche, alla dilagante povertà), ma anche di costruire un pensiero, in larga parte originale, che faccia da cornice a un nuovo modello per lo sviluppo di domani. Ma la politica, finora, si è fatta cogliere in contropiede; largamente impreparata a questo compito; travolta da incapacità, scandali e corruzioni a tutti i livelli. Eclatante è il caso italiano, dove un ultra-ottuagenario di nome Giorgio Napolitano, se non avesse chiamato al Governo un tale Mario Monti, Roma vivrebbe oggi i medesimi drammi di Atene e la guerra sarebbe forse dietro l’angolo.

Serve ripensare globalmente il senso del fare politica, finanza, economia. Serve avere il coraggio di tornare ad ammettere che fare politica per qualcosa di diverso dal “bene comune” significa ritrovarci dove siamo oggi se non rischiare la guerra. Non è affatto vero che siamo in un’epoca post-politica, come si sente interessatamente ripetere. Di più: anche l’antipolitica è politica dal sen fuggita, al punto che è riuscita a spacciare per esistente una entità fantasmatica come la Padania.

Di fronte a tanto squallore risulta difficile sorprendersi dell’abisso esistente tra cittadini e politica. In questo scenario il PD è chiamato a dar prova di essere partito di Governo del Paese. A partire dal rispetto delle regole che si è dato per selezionare i propri candidati. Da elezioni primarie che vedano i contendenti confrontarsi sui programmi prima che sui limiti anagrafici di pensionamento.

Quando le elezioni della prossima primavera affideranno il governo del Paese al PD, piaccia o no, la cosiddetta Agenda Monti non potrà essere abbandonata. Pena la perdita di credibilità a livello internazionale, l’aumento esponenziale del costo del debito pubblico ed il ritorno, per l’Italia, del rischio commissariamento. Sarà necessario mantenere il “rigore” nella gestione dei conti pubblici, migliorare ulteriormente il contrasto agli sprechi e all’evasione fiscale e riequilibrare a favore dei più deboli alcuni provvedimenti adottati da questo governo in un clima di assoluta emergenza. Posto che non sarà un decreto Bersani a far ripartite la crescita nelle forme che abbiamo conosciuto in passato, tra le moltissime necessità, due sono le priorità che non potranno mancare in un governo a trazione PD. Innanzitutto la centralità del lavoro e la riduzione del cuneo fiscale, temi che anche il centrosinistra ha da troppo tempo sacrificato cedendo alle sirene di certo liberismo, all’interno di una nuova politica industriale (cercare questa espressione nel programma dei candidati) che tenga conto del mutato scenario globale. In secondo luogo una lotta senza esclusione di colpi alla speculazione finanziaria internazionale. Obiettivo non alla portata di un solo Paese, ma che deve vedere il nuovo governo a guida PD muoversi a tutto campo sulla scena internazionale per ricercare il consenso necessario ad evitare il ripetersi della crisi attuale che, non dimentichiamolo, nasce nel 2007 dagli Stati Uniti con i cosiddetti Mutui Subprime e vede tutt’ora le banche d’affari internazionali macinare profitti calcolati in miliardi di dollari.

(Scritto per il numero di Novembre 2012 di InPiazza, periodico del PD saronnese)