Si può essere sovversivi chiedendo che le leggi vengano rispettate da chi ci governa (Ennio Flaiano)

lunedì 19 settembre 2011

Da De Gasperi a Berlusconi: toccare il fondo per ripartire

Ciao bella , declino del Paese
più bello del mondo.
“Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me”. Sono le prime parole, divenute famose, del discorso di De Gasperi alla Conferenza di Pace di Parigi. Era l’Agosto del 1946. Un discorso pronunciato in un silenzio glaciale. Ostile. Tutto, tranne l’enorme prestigio personale del presidente del Consiglio italiano e la dignità con cui difese l’Italia, era contro di lui. Ma De Gasperi era credibile in quanto uomo, prima che politico. Al termine di quel discorso il Segretario di Stato degli Stati Uniti d'America, James Byrnes, si alzò in piedi e andò a stringergli la mano. L’ostilità era superata. Il gelo, sciolto. L’Italia rientrò ben presto a pieno titolo nella comunità internazionale. De Gasperi l’aveva salvata. Perché gli uomini contano.

Sono trascorsi 65 anni da quel giorno. Oggi, per il nostro Paese, parlerebbe Berlusconi. Immaginiamolo intervenire alle Nazioni Unite. Sarebbe accolto dal silenzio assordante di un aula vuota. Forse, contumace Gheddafi, dal ghigno beffardo dei suoi amici Lukashenko e Nazarbayev. Per questo, all’Assemblea Generale che si è aperta il 19 Settembre, non l’hanno voluto. L’Italia, Paese fondatore della Comunità Europea, vive ora l’onta dell’isolamento. In bilico sull’orlo di quell’abisso dove l’hanno condotta Berlusconi e Bossi. L’uno un Presidente del Consiglio che considera “perdita di tempo” (al pari di Benito Mussolini) governare il Paese, peraltro da lui stesso già definito spregevole. L’altro un Ministro della Repubblica ormai sconfitto dalla storia che, ancora oggi, ha invocato la secessione della padania, via referendum, davanti ai pochi sostenitori rimasti.

Un Governo indifferente e cinico quello del duo Bossi – Berlusconi. Capace di litigare su tutto; di decidere tutto e di rimangiarselo in pochi giorni. Quando, ricondotto a realtà dalla sfiducia degli investitori internazionali e dagli allarmati ultimatum della Comunità Europea, ha varato una manovra economica per affrontare, nel peggior modo possibile, una crisi fino a quel momento definita “psicologica”. Ma anche in questa situazione estrema, nessun ravvedimento: un fiume di tasse su chi già le paga; la consolidata impunità per chi evade ed elude; il cappio al collo ai Comuni. Con tanti saluti al federalismo e alla sussidiarietà.

Viviamo il triste epilogo, peraltro ampiamente previsto, di una stagione politica che è giudizio fin troppo favorevole definire la peggiore del dopoguerra. Di un potere politico irriso dalla stampa internazionale; incapace di affrontare una crisi la quale ha il solo merito di averne accelerato la fine: ma a che prezzo! Un potere indegno, per i suoi comportamenti, di fare appello alle tante risorse materiali e morali dei cittadini. Come non domandarsi che sarebbe di questo nostro Paese se la sua dignità non fosse garantita da un uomo come Giorgio Napolitano?

Il disprezzo che ora circonda il Presidente del Consiglio non è però del tutto disinteressato. Come non del tutto disinteressato è l’apprezzamento che ancora riscuote. Sorprendentemente anche in una (ormai residuale) parte del mondo cattolico. E a chi di questi ultimi con me condivide l’esistenza di principi non negoziabili, come non chiedere quali di essi quest’uomo non abbia irrisi, calpestati, rinnegati.

Toccare il fondo è, spesso, condizione necessaria per risalire. E da De Gasperi a Berlusconi potrebbe essersi concluso un ciclo. Quel ciclo che nella sua fase virtuosa ha unito l’Italia nei valori della Costituzione repubblicana e l’ha ricostruita con il lavoro dei suoi cittadini. Ma in quella del declino l’ha illusa con la finanza creativa di Tremonti e il “padroni in casa nostra” di Bossi. Infine l’ha sprofondata nel baratro umano e politico di Berlusconi.

Negli ultimi sei mesi il mondo è cambiato più in fretta che negli ultimi sei anni. Ma il nostro Paese è rimasto al palo. Inchiodato da una maggioranza il cui unico collante è ormai il terrore elettorale. Serve un colpo di reni per ripartire. Una classe dirigente capace di ascoltare quell’inversione di tendenza che gli italiani hanno reclamato a gran voce con le ultime elezioni amministrative. Di porre al centro delle sue proposte il troppo spesso dimenticato bene comune. Sta qui la vera responsabilità del PD, il più grande partito del centrosinistra.
(Scritto per In Piazza, periodico del Partito Democratico - Saronno)

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