Se c’è una forza politica che sta condizionando negativamente la politica contingente, questa è la Lega Nord.
Così come se c’è un reale vincitore delle passate elezioni regionali, questi è la Lega Nord.
Lo è perché ha risentito meno di altri partiti dell’aumentato astensionismo. Perché è ormai il primo partito nei comuni sotto i 15.000 abitanti (nei quali vive il 50% dei cittadini del nord). Perché cresce più rapidamente di tutti nei comuni sopra i 15.000. Perché ha “conquistato” il Veneto e il Piemonte. Perché ha iniziato “l’invasione” di zone del Paese tradizionalmente fedeli ad altri orientamenti. Soprattutto perché, parallelamente al consenso numerico, cresce un consenso sostanziale alle sue proposte. E, più ancora, alla sua visione della società. Non siamo cioè di fronte alla sola catalisi di voti di protesta o in libera uscita. In questo scenario, il PdL è il lato perdente dello schieramento vincitore.
Prima che l’oggi di un governo ormai votato ai disastri seriali rubi definitivamente la scena, questo quadro sintetico credo meriti qualche riflessione. Perché arrendersi allo sdegno per le venature xenofobe e discriminatorie della Lega, potrebbe rivelarsi rinuncia consolatoria, ma pericolosa. Un partito come il PD deve assumersi la responsabilità di proposte autenticamente alternative, che vadano alla radice dei problemi.
“La Lega vince perché parla alla pancia della gente”. Questa è ormai un’affermazione utilizzata da commentatori, sociologi e politologi. Può quindi essere utile domandarsi come mai ci si tanta gente desiderosa di “ascoltare” con la pancia. Perché ciò significa non porsi il problema della sostenibilità razionale del messaggio ricevuto, ma cercare rassicurazione in quel messaggio. Significa rifiutare risposte che diano risultati domani, ma chiedano sacrifici oggi. Significa volere una risposta immediata a ogni costo, senza domandarsi se sia reale, coerente con la dimensione del problema.
Due esempi.
La visione localistica che salva dai timori della globalizzazione.
La globalizzazione basata sul profitto, è interdipendenza tra sistemi economici. E’ progressivo spostamento del baricentro dello sviluppo a oriente. E’ sofferenza delle economie occidentali che si confrontano con Cina, India, Brasile. Non si conoscono modelli che promettano un riequilibrio in pochi mesi o pochi anni. Il problema, al momento, si presenta insolubile. Appare troppo grande, complesso. Preoccupa, terrorizza perfino.
L'adozione di una prospettiva localistica ne consente la frammentazione, la riduzione a una dimensione che lo fa apparire dominabile. Quindi riduce l’ansia, infonde serenità, normalità, sicurezza. Poco importa che le soluzioni individuate (dazi doganali, devolution, federalismo dai contenuti ignoti) scontino una totale incoerenza rispetto alla dimensione reale dei problemi. Soprattutto in un mondo dove «i governi seri non possono offrire neppure certezze, dovendo concedere libertà a ‘forze di mercato’ di cui è nota la mobilità e l'imprevedibilità” (Zygmunt Bauman).
Abitiamo un mondo dove la speculazione internazionale può mandare in bancarotta uno stato sovrano come la Grecia. Puntare al Portogallo, alla Spagna, all’Italia. Dove banche d’affari e agenzie di rating possono sconvolgere l’economia di un continente. La scelta del localismo, del “territorio”, non affronta alcuno di questi problemi, li nasconde dietro espressioni quali “padroni in casa nostra”. Prive di significato razionale in un contesto globale, ma emotivamente efficaci.
Il conflitto orizzontale.
La storia politica del novecento è segnata da tensioni sociali verticali, cioè fra differenti classi della società: dal conflitto di classe permanente della visione marxista, alla predilezione per i bisogni degli “ultimi” di quella cattolica. Il maggiore livello di benessere raggiunto, modifica ora i termini del problema e la recente crisi economica li amplifica.
Per la Lega, obiettivo primario non è più migliorare il tenore di vita proprio e dei propri figli, ma difenderlo da attacchi esterni. I primi obiettivi identificati dal partito di Bossi furono infatti i meridionali, poi rimpiazzati “dall’Europa”. Oggi sono gli extracomunitari.
E’ una costruzione del “noi” politico basato su un processo di chiusura della società piuttosto che su una visione inclusiva. E’ una logica che non può tenere conto del valore del bene comune; tantomeno a livello nazionale.
E’ un’idea, quindi, inconciliabile sia con la Dottrina sociale della Chiesa, sia con una visione laica basata su pari diritti ed opportunità. Ma è premiante in una società che sembra rinunciare ai valori di persona, comunità e collettività preferendo quello di individuo che basta a se stesso. Ancora una volta senza chiedersi quanto tutto ciò possa risolvere problemi reali, piuttosto che crearne di nuovi.
Riconoscere la complessità del fenomeno Lega non significa affatto condividerne analisi e proposte, ma partire dalle cause che inducono molti elettori a votarla, per avanzare proposte alternative. Convinti che, a non-risposte che parlano alla pancia, gli italiani preferirebbero risposte vere ed efficaci che parlano al cuore e alla ragione.
Questa è la sfida che il PD ha di fronte a se.
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