Si può essere sovversivi chiedendo che le leggi vengano rispettate da chi ci governa (Ennio Flaiano)

sabato 21 giugno 2014

Per le riforme, incontriamoci di pomeriggio

Il 40,8% alle elezioni europee, il partito più votato in Europa. 3 regioni: la Sardegna, l’Abruzzo e il Piemonte conquistate al centrodestra; 20 Comuni capoluogo vinti, di cui 14 strappati al centrodestra, il 70% dei Comuni votanti che hanno scelto PD, sono questi i risultati più eclatanti delle elezioni amministrative. Pur non dimenticando le sconfitte subite a Livorno, Perugia, Potenza e Padova sono numeri impressionanti, che delineano inequivocabilmente una affermazione superiore ad ogni pur rosea previsione.
Molti osservatori si sono esercitati nell'analisi di questi risultati. E pur con sfumature diverse, tutti convengono su due motivazioni fondamentali. La prima è la sostanziale evaporazione dell’area di centro; la seconda, che i candidati del PD si sono affermati laddove erano visti come facce nuove, soprattutto se ritenuti allineati alle scelte della segreteria nazionale.
Volendo concludere questa parte, può essere interessante utilizzare la sintesi, tanto estrema quanto efficace, proposta da Ilvo Diamanti: ha vinto il ”PdR”. Che si deve leggere come Partito Democratico di Renzi, ma che l’ortografia consente di leggere anche come Partito di Renzi. Solo il tempo consentirà di dire quale delle due letture è la più corretta.

Narrano le cronache dell’Assemblea Costituente che le sedute parlamentari del mattino differissero significativamente da quelle pomeridiane, nelle modalità di confronto e nei risultati ottenuti. Perché era negli incontri meridiani che i Costituenti trovavano il coraggio di guardare agli interessi complessivi del Paese. Mettevano da parte le rigidità, l’istinto egemonico e facevano prevalere ciò che univa su ciò che divideva. Ed è grazie a questo spirito meridiano che la Carta è stata redatta e approvata. Usando una immagine, potremmo dire che la nostra Costituzione è nata di pomeriggio.

La fase politica che il nostro Paese sta attraversando non è meno delicata di quella di allora. La responsabilità che il 40,8% degli elettori ha caricato sulle spalle del PD non è inferiore a quella dei padri costituenti. Le attese per un paese migliore, per la prima volta dopo molti anni,  sono le stesse. E gli impegni assunti davanti a loro dal segretario del PD sono molti e di grande rilevanza: eguaglianza, lavoro, scuola, pubblica amministrazione, lotta alla corruzione, solo per citarne alcuni. E come tralasciare la nuova legge elettorale e il superamento del bicameralismo perfetto? Temi, soprattutto quest’ultimo, sui quali il PD si gioca la faccia, la credibilità di saper guidare l’ammodernamento di una parte non trascurabile della nostra architettura costituzionale. Fallire qui, soprattutto se a causa di impuntature del Governo, significherebbe tradire la fiducia di così tanti cittadini. Perché, allora, irrigidirsi sulla proposta di riforma del Governo che, difficilmente, avrebbe i numeri per passare? E se passasse, mai raccoglierebbe quel largo consenso necessario per modificare una parte della Costituzione. Perché invece non ripartire da altre proposte, sempre del PD come quella del Senatore Chiti, che ha già trovato ben più ampio consenso anche tra le forze di minoranza e che, con una sapiente opera di mediazione, potrebbe superare favorevolmente il voto del Parlamento in poche settimane?

Caro Segretario, da tempo allieti  i nostri risvegli mattutini con i tuoi tweet e te ne siamo grati. Permettimi allora di avanzarti una richiesta: mi farebbe piacere un tuo tweet, di tardo pomeriggio, perché no, col quale annunci che i gruppi parlamentari del nostro partito hanno trovato un accordo sulla riforma del bicameralismo. E il tuo Governo l’ha condivisa. E non perché qualcuno è stato sostituito e qualcun altro si è autosospeso, ma perché tutti hanno rinunciato a qualche cosa, tu per primo se dovesse servire, per far prevalere il molto che ci unisce: il bene del nostro Paese.

martedì 27 maggio 2014

Renzi, il partito nazione

Renzi ha vinto. E per fortuna! Ha vinto le elezioni europee. E per fortuna! Ha trascinato importanti affermazioni di candidati PD alla carica di Presidente di Regione o di Sindaco. E per fortuna! 

Renzi ha cambiato la geografia politica del Paese. E per fortuna!

Renzi ha vinto una sfida elettorale tra solisti. Ha sconfitto il non pensiero di Grillo e il rantolo di Berlusconi. Tutto il resto è noia, avrebbe detto Califano. Ha saputo muoversi con raffinata efficacia mediatica, distanziando, anche in questo, Grillo e Berlusconi, non meno di quanto Coppi distanziava il secondo arrivato. Ha vinto, su temi italiani, la sfida europea. Costretto, in questo sì, da Grillo e Berlusconi, a misurarsi più sugli 80€ che sull’Europa da cambiare. Come invece ha fatto, lo riconosco volentieri, la sola Lista Tsipras.

Renzi, il solista, è il nuovo partito nazione. E’ il redivivo partito contenitore, così diverso e uguale al precedente. Difficile dire diversamente quando si ottengono più di 4 voti ogni 10 votanti, anche se 40 su 100 sono rimasti a casa. Capace di far votare centrosinistra agli artigiani del Veneto come alle partite IVA della Lombardia. Riuscendo così ad allargare il bacino elettorale del centrosinistra ben oltre i suoi confini tradizionali.

Renzi ha vinto la sfida dentro il PSE, portando in Europa il maggior numero di deputati nazionali dentro il gruppo dei Socialisti e Democratici. Lì (al Parlamento Europeo) lo attendono probabilmente le “grandi intese” con la CDU della Merkel, il più grande gruppo dentro il PPE. Intese tutt’altro che facili, visto che alla signora Merkel l’Europa va più che bene così com’è oggi, che la Francia è allo sbando e non può certo aiutare, mentre Renzi la vuole riformare profondamente. E per fortuna!

Renzi è il Segretario nazionale del Partito Democratico, il mio partito. Renzi ha vinto: voglio complimentarmi con lui e godermi questo splendido risultato.

Ma domani è un altro giorno. E da domani sarà necessario lavorare perché il PD vinca quanto Renzi. Rimanendo fedele ai suoi valori.

domenica 13 aprile 2014

Solo Renzi. Renzi solo?

 
Se la novità più imprevista ed eclatante degli ultimi dodici mesi non venisse dalla fine del mondo, si potrebbe dire che lo sarebbe Matteo Renzi. Ma si tranquillizzino i miei 32 lettori, credenti e non: non troveranno in queste righe una sorta di confronto tra sacro e profano, tra le caratteristiche di chi è stato eletto Vescovo di Roma e chi nominato Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica italiana.

Renzi è un trascinatore e contemporaneamente un personaggio che divide. Suscita entusiasmi, ma anche dissenso; a volte irritazione. Ha uno stile comunicativo che buca il video e anima i social: particolari non trascurabili in epoca di politica fortemente mediatizzata. A volte eccede, mostrando una baldanza e una irriverenza al limite della mancanza di rispetto dell’interlocutore. Verso il quale mostra visibile insofferenza quando questi lo contraddice. Specie se a ragione. Padroneggia con destrezza l’arte della captatio benevolentiae, tanto da raccogliere consensi ben al di la dei tradizionali confini del partito di cui è segretario nazionale. Con la celerità che molti gli riconoscono si è impadronito del partito e alcune settimane dopo del Governo, compiendo in pochi giorni la medesima operazione che a Craxi costò 8 anni, dal 1976 al 1984. E’ un uomo di potere, Renzi e ciò non guasta laddove potere sia sinonimo di servizio. Ma a differenza di quanto ritengono gran parte dei commentatori, definirei il suo stile politico più craxiano che berlusconiano. Con buona pace di quel profeta che fu Giorgio La Pira. Gli piace correre in solitudine, senza dover troppo contrattare e tantomeno concertare. Per questo si è circondato di ministri certo capaci, ma in fase di crescita e al momento non in grado di fargli ombra. Cedendo solo su Pier Carlo Padoan all’economia, per richiesta irremovibile di Giorgio Napolitano. Promette di essere l’uomo del fare, cogliendo così una necessità drammaticamente inderogabile per il nostro Paese, oltreché i bisogni di un elettorato ampio e largamente trasversale. Del fare in fretta, scontando ritardi di cui non è responsabile, ma rischiando anche che fretta e bene non sempre coincidano. E' anche un leader dalle molte sfide e dai frequenti rilanci. Capace di convincere che la priorità irrinunciabile è quella che sostiene in quel momento. E di farsi perdonare se ieri era un’altra e altrettanto potrà essere domani. Così legge elettorale e job act, 10 miliardi per 10 milioni di lavoratori e riduzione dell’IRAP, riforma del Senato e decreto legge sul lavoro, spending review e riforma del Titolo V della Costituzione, abolizione delle province e del CNEL si rincorrono e a turno divengono la priorità del giorno, puntualmente ricordata via Twitter alle 6:30 del mattino. Mentre scrivo nessuno di questi impegni è legge dello Stato. Ma quando leggerete qualcuno auspicabilmente lo sarà, come qualcun altro sarà forse scomparso dalla lista delle priorità. Ha scelto le convergenze parallele il Presidente del Consiglio, tra un governo di larghe intese e gli accordi con il sedicente leader dell’opposizione. Un leader sempre meno tale, Berlusconi, come mi è già capitato di osservare. Che cerca disperatamente di rimanere alla guida di un partito riottoso a seguirlo nella parabola discendente, ma incapace di sopravvivergli. Tra i cui dirigenti il tutti contro tutti è ormai la norma.

Sta concedendo molto credito il PD al suo Segretario-Presidente del Consiglio, né potrebbe essere diversamente. Un po’ affascinato da promesse di cambiamento troppo a lungo disattese. Un po’ frastornato da una personalizzazione della leadership sicuramente inedita per il popolo del centrosinistra. Una personalizzazione che sfida quel “metodo democratico” essenziale in un partito che resta pur sempre un collettivo plurale. E che pone serie ipoteche sulla capacità di aggregare uno schieramento ampio e variegato, quando Renzi si troverà a mantenere il più antico degli impegni assunti: portare il centrosinistra al governo del Paese solo vincendo il confronto elettorale.

Ma l’uomo è persona intelligente. Sicuramente più, mi sia concessa la chiosa, dei molti saliti sul suo carro in zona Cesarini producendosi in conversioni che neppure san Paolo. Per questo, sono certo, saprà fare sintesi delle molte ricchezze che il centrosinistra gli offre e solo grazie alle quali potremo far ripartire un Paese sfiduciato e fermo da troppo tempo.

giovedì 13 febbraio 2014

PD: mala tempora currunt

Oggi Matteo Renzi ha pugnalato alle spalle Enrico Letta e lo ha assassinato. Politicamente.
Dov'è la notizia? Non c'è. Era nella logica delle cose. Mi era capitato di dire che l'8 Dicembre 2013 non era stato eletto il nuovo Segretario del PD, ma qualcuno era salito su un tram di nome PD e il tram era partito per Palazzo Chigi. Qualcuno, giusto un po' più saggio di Renzi, qualche anno fa pare abbia detto: chi di spada ferisce, di spada perisce. Verrebbe da dire che c'è solo da sedersi sull'ansa del fiume. Purtroppo c'è di mezzo l'Italia.

Oggi, una direzione nazionale di congiurati belanti ha approvato l'omicidio politico votando sostanzialmente sul niente. E questo sorprende un po' di più. Ora, se è vero che la relazione del Segretario è stata una liturgia puramente formale perché tutto era già stato deciso altrove, non era impossibile sperare in una direzione scevra da servo encomio. Ma la speranza è stata vana. Il più lucido nel riconoscere a Letta i meriti per il lavoro svolto tra vincoli impossibili è stato Civati che neppure gli aveva votato la fiducia.

Oggi i grandi assenti in direzione nazionale sono stati i programmi. Difficile comprendere perché la direzione di un grande partito quale è il PD cannibalizzi il proprio Presidente del Consiglio se non sa articolare una proposta programmatica alternativa, se non ha la minima idea di come rimuovere i vincoli che ne hanno frenato l'azione di governo, se non sa minimamente con quale maggioranza "arrivare al 2018".

Una brutta pagina quella scritta oggi dalla direzione nazionale del PD, dalle conseguenze imprevedibili.

Ma nessuno, o quasi, è sembrato accorgersene.

martedì 28 gennaio 2014

Le domande smarrite di una politica post-ideale

Dal Giugno 2001 al Novembre 2011, il nostro Paese, ha visto il succedersi del II, III e IV Governo Berlusconi. Un lungo periodo, interrotto solo dal Governo Prodi dal Maggio 2006 al 2008, durante il quale la classe politica è andata progressivamente perdendo il contatto con il Paese reale. Le successive elezioni politiche del 2013 non potevano che restituire un risultato ampiamente condizionato da forme di protesta numericamente assai cospicue e costringere, tra traversie varie, alla nascita del Governo Letta, un governo largamente innaturale. Pochi mesi dopo Silvio Berlusconi, a quel tempo presunto innocente, veniva condannato in via definitiva per frode fiscale, (un reato infamante per un politico più volte Presidente del Consiglio) conseguentemente decadeva da Senatore della Repubblica e il PdL non sopravviveva all’evento. Sembrava così aprirsi una fase nuova nella politica del nostro Paese. Perché se un presunto innocente può, in via di principio, sempre essere un interlocutore politico, un pregiudicato, mai.

L’elezione del nuovo segretario politico del PD sembrava segnare un ulteriore passo verso il rinnovamento politico del Paese: per causa di forza maggiore quello del centrodestra, per espressa volontà da iscritti e non, quello del PD.

La cronaca politica recente dice, però, che Berlusconi è tornato elemento centrale della politica italiana, addirittura padre costituente di una nuova architettura istituzionale. Tutto ciò per comune condivisione del fatto che rappresenterebbe “ancora” milioni di elettori. Assunto, questo, indimostrabile, essendo decaduto da Senatore e impossibilitato a prendere parte ad elezioni politiche in conseguenza della condanna subita.

Basterebbe qui il buonsenso del buon padre di famiglia per accorgersi dell’errore sesquipedale che si commette nel ridare la patente di interlocutore affidabile all’uomo che nell’ultimo ventennio più di ogni altro ha rappresentato la decadenza del costume sociale e politico del nostro Paese, che lo ha portato alla soglia del default finanziario, che si è asserragliato all’interno di innumerevoli leggi ad personam, che ha ridotto ad abigeato il falso in bilancio. Ma tutto ciò, comprendo, è valutazione politica e come tale, opinabile. Di ben altra portata, in questa riabilitazione politica è, a mio modesto avviso, l’omissione della domanda sul rapporto tra mezzi e fini: si può, per raggiungere un fine, anche ammesso che sia in se stesso buono, giustificare l’utilizzo di qualsiasi mezzo? Può l’obiettivo di avere rapidamente una nuova legge elettorale (la modifica dell’assetto istituzionale richiederà comunque anni) giustificare l’accordo con un condannato con sentenza passata in giudicato, equiparandolo di fatto ad un presunto innocente? Verso quale nuovo modello di Partito Democratico andiamo se anche noi varchiamo quel confine sulla cui presunta insussistenza Berlusconi ha costruito le sue fortune economiche e politiche?

Dato per acquisito che anche il PD uscito dalle recenti primarie non rinunci all’impegno politico come strumento per raggiungere il miglior bene comune possibile, quale modello di bene comune è compatibile con la rinuncia ad un principio iscritto tanto nell’etica della convivenza civile quanto nell’ordinamento costituzionale e giuridico di uno Stato di diritto?

E da ultimo, seppur non ultimo, mi sia concesso esprimere un timore, anche solo per fugarlo: non sarà che il nuovo PD si stia mutando da quel partito post-ideologico voluto da Romano Prodi in un molto meno nobile partito post-ideale?