Si può essere sovversivi chiedendo che le leggi vengano rispettate da chi ci governa (Ennio Flaiano)

martedì 30 ottobre 2012

Si scrive Crocetta, si legge Monti bis

Ha sicuramente ragione Bersani quando afferma che in Sicilia sono accadute "cose da pazzi". Ha vinto il Centrosinistra, con un candidato di sinistra, già sindaco antimafia.

Ma il 52% dei siciliani non è andato a votare.
Ma il Centrosinistra ha il 30% dei voti espressi (meno del 15% dei voti potenziali).

Ma la prima forza politica dell'isola è il M5 Stelle, con il 15% dei voti espressi, contro il 13 del PD.

Ma il rissoso, frammentato e sbandato universo del centrodestra, nel suo complesso, passa il 40% dei voti espressi.

Ma la "sinistra" e l'IDV sono sostanzialmente scomparsi.

La vittoria del Centrosinistra è sicuramente una buona notizia; un'ottima notizia. Per il PD. Per la Sicilia. Per l'Italia tutta.

Ma i risultati elettorali siciliani, se proiettati a livello nazionale, rischiano di avere una sola lettura: prove tecniche di Monti bis.

Già, ma in Sicilia succedono cose da pazzi!
Speriamo.

sabato 27 ottobre 2012

riPENSARE la politica


Il 24 settembre The Tablet, la maggiore rivista cattolica d’Inghilterra, ricordava una questione di fondo della crisi che attanaglia l’occidente. Talmente drammatica da convincere tutti che gli sforzi a difesa dell’Unione Europea e dell’Euro non possono essere ridotti a mero affare negoziale: “If the €uro falls, what price peace?” L’articolo, che riprendeva e rilanciava una riflessione che fu già di Romano Prodi, sposa la preoccupazione sottesa all’espressione “a qualunque costo”, usata da Draghi, Monti e Hollande per marcare una irrinunciabile linea di difesa dell’Euro dalla speculazione, torna in fondo a ribadire il medesimo concetto fatale: dopo l’Euro non ci sono “le” monete, c’è la guerra. Quella guerra che gli europei non hanno mai mancato di farsi prima che l’intuizione dei superstiti vedesse nell’Unione Europea il rimedio al male intrinseco. E l’ultima guerra che noi europei abbiamo combattuto gli uni contro gli altri coinvolgendo mezzo mondo è proprio quella che ha risolto sul piano economico la crisi del ’29, l’unica che per durata e conseguenze può essere paragonata a quella odierna.
Viviamo una fase delicata, come sospesa tra il non più di un modello economico-sociale che ci ha garantito benessere, ma che è necessariamente confinato al cinquantennio passato e il non ancora di un domani che dobbiamo imparare a costruire. In questa terra di mezzo la stessa utopia di un’Europa integrata in una Comunità e non solo nella moneta, sembra oggi chiusa dentro una morsa. Una situazione drammatica che chiede alla politica di gestire l’emergenza (dagli spread al debito, alle strategie anti-cicliche, alla dilagante povertà), ma anche di costruire un pensiero, in larga parte originale, che faccia da cornice a un nuovo modello per lo sviluppo di domani. Ma la politica, finora, si è fatta cogliere in contropiede; largamente impreparata a questo compito; travolta da incapacità, scandali e corruzioni a tutti i livelli. Eclatante è il caso italiano, dove un ultra-ottuagenario di nome Giorgio Napolitano, se non avesse chiamato al Governo un tale Mario Monti, Roma vivrebbe oggi i medesimi drammi di Atene e la guerra sarebbe forse dietro l’angolo.

Serve ripensare globalmente il senso del fare politica, finanza, economia. Serve avere il coraggio di tornare ad ammettere che fare politica per qualcosa di diverso dal “bene comune” significa ritrovarci dove siamo oggi se non rischiare la guerra. Non è affatto vero che siamo in un’epoca post-politica, come si sente interessatamente ripetere. Di più: anche l’antipolitica è politica dal sen fuggita, al punto che è riuscita a spacciare per esistente una entità fantasmatica come la Padania.

Di fronte a tanto squallore risulta difficile sorprendersi dell’abisso esistente tra cittadini e politica. In questo scenario il PD è chiamato a dar prova di essere partito di Governo del Paese. A partire dal rispetto delle regole che si è dato per selezionare i propri candidati. Da elezioni primarie che vedano i contendenti confrontarsi sui programmi prima che sui limiti anagrafici di pensionamento.

Quando le elezioni della prossima primavera affideranno il governo del Paese al PD, piaccia o no, la cosiddetta Agenda Monti non potrà essere abbandonata. Pena la perdita di credibilità a livello internazionale, l’aumento esponenziale del costo del debito pubblico ed il ritorno, per l’Italia, del rischio commissariamento. Sarà necessario mantenere il “rigore” nella gestione dei conti pubblici, migliorare ulteriormente il contrasto agli sprechi e all’evasione fiscale e riequilibrare a favore dei più deboli alcuni provvedimenti adottati da questo governo in un clima di assoluta emergenza. Posto che non sarà un decreto Bersani a far ripartite la crescita nelle forme che abbiamo conosciuto in passato, tra le moltissime necessità, due sono le priorità che non potranno mancare in un governo a trazione PD. Innanzitutto la centralità del lavoro e la riduzione del cuneo fiscale, temi che anche il centrosinistra ha da troppo tempo sacrificato cedendo alle sirene di certo liberismo, all’interno di una nuova politica industriale (cercare questa espressione nel programma dei candidati) che tenga conto del mutato scenario globale. In secondo luogo una lotta senza esclusione di colpi alla speculazione finanziaria internazionale. Obiettivo non alla portata di un solo Paese, ma che deve vedere il nuovo governo a guida PD muoversi a tutto campo sulla scena internazionale per ricercare il consenso necessario ad evitare il ripetersi della crisi attuale che, non dimentichiamolo, nasce nel 2007 dagli Stati Uniti con i cosiddetti Mutui Subprime e vede tutt’ora le banche d’affari internazionali macinare profitti calcolati in miliardi di dollari.

(Scritto per il numero di Novembre 2012 di InPiazza, periodico del PD saronnese)