Si può essere sovversivi chiedendo che le leggi vengano rispettate da chi ci governa (Ennio Flaiano)

martedì 28 gennaio 2014

Le domande smarrite di una politica post-ideale

Dal Giugno 2001 al Novembre 2011, il nostro Paese, ha visto il succedersi del II, III e IV Governo Berlusconi. Un lungo periodo, interrotto solo dal Governo Prodi dal Maggio 2006 al 2008, durante il quale la classe politica è andata progressivamente perdendo il contatto con il Paese reale. Le successive elezioni politiche del 2013 non potevano che restituire un risultato ampiamente condizionato da forme di protesta numericamente assai cospicue e costringere, tra traversie varie, alla nascita del Governo Letta, un governo largamente innaturale. Pochi mesi dopo Silvio Berlusconi, a quel tempo presunto innocente, veniva condannato in via definitiva per frode fiscale, (un reato infamante per un politico più volte Presidente del Consiglio) conseguentemente decadeva da Senatore della Repubblica e il PdL non sopravviveva all’evento. Sembrava così aprirsi una fase nuova nella politica del nostro Paese. Perché se un presunto innocente può, in via di principio, sempre essere un interlocutore politico, un pregiudicato, mai.

L’elezione del nuovo segretario politico del PD sembrava segnare un ulteriore passo verso il rinnovamento politico del Paese: per causa di forza maggiore quello del centrodestra, per espressa volontà da iscritti e non, quello del PD.

La cronaca politica recente dice, però, che Berlusconi è tornato elemento centrale della politica italiana, addirittura padre costituente di una nuova architettura istituzionale. Tutto ciò per comune condivisione del fatto che rappresenterebbe “ancora” milioni di elettori. Assunto, questo, indimostrabile, essendo decaduto da Senatore e impossibilitato a prendere parte ad elezioni politiche in conseguenza della condanna subita.

Basterebbe qui il buonsenso del buon padre di famiglia per accorgersi dell’errore sesquipedale che si commette nel ridare la patente di interlocutore affidabile all’uomo che nell’ultimo ventennio più di ogni altro ha rappresentato la decadenza del costume sociale e politico del nostro Paese, che lo ha portato alla soglia del default finanziario, che si è asserragliato all’interno di innumerevoli leggi ad personam, che ha ridotto ad abigeato il falso in bilancio. Ma tutto ciò, comprendo, è valutazione politica e come tale, opinabile. Di ben altra portata, in questa riabilitazione politica è, a mio modesto avviso, l’omissione della domanda sul rapporto tra mezzi e fini: si può, per raggiungere un fine, anche ammesso che sia in se stesso buono, giustificare l’utilizzo di qualsiasi mezzo? Può l’obiettivo di avere rapidamente una nuova legge elettorale (la modifica dell’assetto istituzionale richiederà comunque anni) giustificare l’accordo con un condannato con sentenza passata in giudicato, equiparandolo di fatto ad un presunto innocente? Verso quale nuovo modello di Partito Democratico andiamo se anche noi varchiamo quel confine sulla cui presunta insussistenza Berlusconi ha costruito le sue fortune economiche e politiche?

Dato per acquisito che anche il PD uscito dalle recenti primarie non rinunci all’impegno politico come strumento per raggiungere il miglior bene comune possibile, quale modello di bene comune è compatibile con la rinuncia ad un principio iscritto tanto nell’etica della convivenza civile quanto nell’ordinamento costituzionale e giuridico di uno Stato di diritto?

E da ultimo, seppur non ultimo, mi sia concesso esprimere un timore, anche solo per fugarlo: non sarà che il nuovo PD si stia mutando da quel partito post-ideologico voluto da Romano Prodi in un molto meno nobile partito post-ideale?